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Pietro Metastasio
Lettere

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LXI

 

AD ANTONIO TOLOMEO TRIVULZIO - VENEZIA

 

Vienna 16 giugno 1753.

 

Felice voi, veneratissimo Fracastoro, che andate gustando in codesto ridente soggiorno tutti i più squisiti piaceri della vita. Io non ne invidio la dovizia, ma bensì il desiderio che ne avete. S'io sapessi procurarmi questo, sarei già di della metà del cammino; ma per mia disavventura il mio palato è così oggimai incallito, che mi paiono insipide la maggior parte di quelle vivande che solleticano così soavemente il maggior numero de' viventi. La esperienza e il raziocinio ci sgombrano veramente l'animo d'una quantità di errori che s'incominciano a bere col primo latte; ma ci defraudano all'incontro una quantità di piaceri, e non somministrano materiali onde riempire il vòto che cagionano. Forse questo è un meritato castigo, col quale la Provvidenza punisce chi pretende fabbricarsi in terra una solida e reale felicità non conceduta ai mortali. So che, s'io potessi rifarmi da capo, non sarei più così dolce d'andar cercando il pel nell'uovo. Mi compiacerei della scorza de' piaceri senza andarli snocciolando, e con la varietà compenserei l'instabilità de' medesimi. Non v'è bisogno di tanta realità per dilettarsi. Qual cosa più vana d'un sogno? eppure vi fa passar qualche ora contento. Qual cosa più fallace d'una scena? eppure vi trattiene, vi rallegra, vi rapisce colle sue superficiali apparenze. Chi non vuol che il midollo de' piaceri, perde il buono cercando l'ottimo, e mentre compiagne l'altrui, fabbrica la propria infelicità. Io mi rido di quei vostri cicaloni de' Greci, che asseriscono magistralmente che la felicità dell'uomo consiste nel carere dolore: se l'assioma stesse a martello sarebbe più invidiabile ogni pilastro, ogni palo, che Aristotile, Platone e tutta la socratica famiglia. Non vuo' per altro che mi crediate così svogliato in tutto. Io sono sensibilissimo alla tenerezza de' miei e particolarmente a quella de' vostri pari; onde non siate avaro di nutrimento all'unico appetito che mi è rimasto, sicuro di essere contraccambiato da quella rispettosa e tenera costanza, con cui non lascierò mai d'essere.

 

 




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