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Pietro Metastasio
Olimpiade

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Scena quinta - Clistene, Aristea, Argene

 

CLIST. Figlia, tutto è compìto. I nomi accolti,

le vittime svenate, al gran cimento

l'ora è prescritta; e più la pugna ormai,

senza offesa de' numi,

della pubblica , dell'onor mio,

differir non si può.

ARI. (Speranze, addio).

CLIST. Ragion d'esser superba

io ti darei, se ti dicessi tutti

quei, che a pugnar per te vengono a gara.

V'è Olinto di Megara,

v'è Clearco di Sparta, Ati di Tebe,

Erilo di Corinto, e fin di Creta

Licida venne.

ARG. Chi?

CLIST. Licida, il figlio

del re cretense.

ARI. Ei pur mi brama?

CLIST. Ei viene

con gli altri a prova.

ARG. (Ah si scordò d'Argene!)

CLIST. Sieguimi, figlia.

ARI. Ah questa pugna, o padre,

si differisca.

CLIST. Un impossibil chiedi:

dissi perché. Ma la cagion non trovo

di tal richiesta.

ARI. A divenir soggette

sempre v'è tempo. È d'Imeneo per noi

pesante il giogo; e già senz'esso abbiamo

che soffrire abbastanza

nella nostra servil sorte infelice.

CLIST. Dice ognuna così, ma il ver non dice.

Del destin non vi lagnate

se vi rese a noi soggette;

siete serve, ma regnate

nella vostra servitù.

Forti noi, voi belle siete,

e vincete in ogn'impresa,

quando vengono a contesa

la bellezza e la virtù.

 




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