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Pietro Metastasio
Olimpiade

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Scena nona - Megacle, Aristea

 

MEG. (Oh ricordi crudeli!)

ARI. Al fin siam soli:

potrò senza ritegni

il mio contento esagerar; chiamarti

mia speme, mio diletto,

luce degli occhi miei...

MEG. No, principessa,

questi soavi nomi

non son per me. Serbali pure ad altro

più fortunato amante.

ARI. E il tempo è questo

di parlarmi così? Giunto è quel giorno...

Ma semplice ch'io son: tu scherzi, o caro,

ed io stolta m'affanno.

MEG. Ah! non t'affanni

senza ragion.

ARI. Spiegati dunque.

MEG. Ascolta:

ma coraggio, Aristea. L'alma prepara

a dar di tua virtù la prova estrema.

ARI. Parla. Aimè! che vuoi dirmi? Il cor mi trema.

MEG. Odi. In me non dicesti

mille volte d'amar, più che 'l sembiante,

il grato cor, l'alma sincera, e quella,

che m'ardea nel pensier, fiamma d'onore?

ARI. Lo dissi, è ver. Tal mi sembrasti, e tale

ti conosco, t'adoro.

MEG. E se diverso

fosse Megacle un da quel che dici;

se infedele agli amici,

se spergiuro agli dei, se, fatto ingrato

al suo benefattor, morte rendesse

per la vita che n'ebbe; avresti ancora

amor per lui? Lo soffriresti amante?

L'accetteresti sposo?

ARI. E come vuoi

ch'io figurar mi possa

Megacle mio sì scellerato?

MEG. Or sappi

che per legge fatale,

se tuo sposo divien, Megacle è tale.

ARI. Come!

MEG. Tutto l'arcano

ecco ti svelo. Il principe di Creta

langue per te d'amor. Pietà mi chiede,

e la vita mi diede. Ah principessa,

se negarla poss'io, dillo tu stessa.

ARI. E pugnasti...

MEG. Per lui.

ARI. Perder mi vuoi...

MEG. Sì, per serbarmi sempre

degno di te.

ARI. Dunque io dovrò...

MEG. Tu dèi

coronar l'opra mia. Sì, generosa,

adorata Aristea, seconda i moti

d'un grato cor. Sia, qual io fui fin ora,

Licida in avvenire. Amalo. È degno

di sì gran sorte il caro amico. Anch'io

vivo di lui nel seno;

e s'ei t'acquista, io non ti perdo appieno.

ARI. Ah qual passaggio è questo! Io dalle stelle

precipito agli abissi. Eh no: si cerchi

miglior compenso. Ah! senza te la vita

per me vita non è.

MEG. Bella Aristea,

non congiurar tu ancora

contro la mia virtù. Mi costa assai

il prepararmi a sì gran passo. Un solo

di quei teneri sensi

quant'opera distrugge!

ARI. E di lasciarmi...

MEG. Ho risoluto.

ARI. Hai risoluto? E quando?

MEG. Questo (morir mi sento)

questo è l'ultimo addio.

ARI. L'ultimo! Ingrato...

Soccorretemi, o numi! Il piè vacilla:

freddo sudor mi bagna il volto; e parmi

ch'una gelida man m'opprima il core!

MEG. Sento che il mio valore

mancando va. Più che a partir dimoro,

meno ne son capace.

Ardir. Vado, Aristea: rimanti in pace.

ARI. Come! Già m'abbandoni?

MEG. È forza, o cara,

separarsi una volta.

ARI. E parti...

MEG. E parto

per non tornar più mai.

ARI. Senti. Ah no... Dove vai?

MEG. A spirar, mio tesoro,

lungi dagli occhi tuoi.

ARI. Soccorso... Io... moro.

MEG. Misero me, che veggo!

Ah l'oppresse il dolor! Cara mia speme,

bella Aristea, non avvilirti; ascolta:

Megacle è qui. Non partirò. Sarai...

Che parlo? Ella non m'ode. Avete, o stelle,

più sventure per me? No, questa sola

mi restava a provar. Chi mi consiglia?

Che risolvo? Che fo? Partir? Sarebbe

crudeltà, tirannia. Restar? che giova?

forse ad esserle sposo? E 'l re ingannato,

e l'amico tradito, e la mia fede,

e l'onor mio lo soffrirebbe? Almeno

partiam più tardi. Ah che sarem di nuovo

a quest'orrido passo! Ora è pietade

l'esser crudele. Addio, mia vita: addio,

mia perduta speranza. Il Ciel ti renda

più felice di me. Deh, conservate

questa bell'opra vostra, eterni dei;

e i , ch'io perderò, donate a lei.

Licida... Dov'è mai? Licida.

 




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