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Pietro Metastasio
Olimpiade

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Scena undicesima - Licida, Aristea

 

LIC. Che laberinto è questo! Io non l'intendo.

Semiviva Aristea... Megacle afflitto...

ARI. Oh Dio!

LIC. Ma già quell'alma

torna agli usati uffizi. Apri i bei lumi,

principessa, ben mio.

ARI. Sposo infedele!

LIC. Ah! non dirmi così. Di mia costanza

ecco in pegno la destra.

ARI. Almeno... Oh stelle!

Megacle ov'è?

LIC. Partì.

ARI. Partì l'ingrato?

Ebbe cor di lasciarmi in questo stato?

LIC. Il tuo sposo restò.

ARI. Dunque è perduta

l'umanità, la fede,

l'amore, la pietà! Se questi iniqui

incenerir non sanno,

numi, i fulmini vostri in ciel che fanno?

LIC. Son fuor di me. , che t'offese, o cara?

Parla; brami vendetta? Ecco il tuo sposo,

ecco Licida...

ARI. Oh dei!

Tu quel Licida sei! Fuggi, t'invola,

nasconditi da me. Per tua cagione,

perfido, mi ritrovo a questo passo.

LIC. E qual colpa ho commessa? Io son di sasso.

ARI. Tu me da me dividi;

barbaro, tu m'uccidi:

tutto il dolor, ch'io sento,

tutto mi vien da te.

No, non sperar mai pace.

Odio quel cor fallace:

oggetto di spavento

sempre sarai per me.

 




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