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Pietro Metastasio
Olimpiade

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Scena tredicesima - Licida, Aminta

 

LIC. In angustia più fiera

io non mi vidi mai. Tutto è in ruina,

se parla Argene. È forza

raggiungerla, placarla... E chi trattiene

la principessa intanto? Il solo amico

potria... Ma dove andò? Si cerchi. Almeno

e consiglio e conforto

Megacle mi darà.

AMI. Megacle è morto!

LIC. Che dici, Aminta!

AMI. Io dico

pur troppo il ver.

LIC. Come! Perché? Qual empio

bei giorni troncò? Trovisi: io voglio

ch'esempio di vendetta altrui ne resti.

AMI. Principe, nol cercar: tu l'uccidesti.

LIC. Io! Deliri?

AMI. Volesse

il Ciel ch'io delirassi. Odimi. In traccia

mentre or di te venìa, fra quelle piante

un gemito improvviso

sento: mi fermo: al suon mi volgo; e miro

uom, che sul nudo acciaro

prono già s'abbandona. Accorro. Al petto

fo d'una man sostegno;

con l'altra il ferro svio. Ma, quando al volto

Megacle ravvisai,

pensa com'ei restò, com'io restai!

Dopo un breve stupore: «Ah qual follia

bramar ti fa la morte!»,

io volea dirgli. Ei mi prevenne: «Aminta,

ho vissuto abbastanza»,

sospirando mi disse

dal profondo del cor. «Senz'Aristea

non so viver, né voglio. Ah! son due lustri

che non vivo che in lei. Licida, oh Dio!

m'uccide, e non lo sa; ma non m'offende:

suo dono è questa vita; ei la riprende».

LIC. Oh amico! E poi?

AMI. Fugge da me, ciò detto,

come partico stral. Vedi quel sasso,

signor, colà, che il sottoposto Alfeo

signoreggia ed adombra? Egli v'ascende

in men che non balena. In mezzo al fiume

si scaglia: io grido in van. L'onda percossa

balzò, s'aperse; in frettolosi giri

si riunì; l'ascose. Il colpo, i gridi

replicaron le sponde; e più nol vidi.

LIC. Ah qual orrida scena

or si scopre al mio sguardo!

AMI. Almen la spoglia,

che albergòbell'alma,

vadasi a ricercar. Da' mesti amici

questi a lui son dovuti ultimi uffici.

 




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