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Pietro Metastasio
Olimpiade

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Scena seconda - Alcandro, Aristea

 

ALC. Oh sacrilego! Oh insano!

Oh scellerato ardir!

ARI. Vi sono ancora

nuovi disastri, Alcandro?

ALC. In questo istante

rinasce il padre tuo.

ARI. Come!

ALC. Che orrore,

che ruina, che lutto,

se 'l Ciel non difendea, n'avrebbe involti!

ARI. Perché?

ALC. Già sai che per costume antico

questo festivo con un solenne

sacrifizio si chiude. Or mentre al tempio

venìa fra' suoi custodi

la sacra pompa a celebrar Clistene,

perché non so, né da qual parte uscito,

Licida impetuoso

ci attraversa il cammin. Non vidi mai

più terribile aspetto. Armato il braccio,

nuda la fronte avea, lacero il manto,

scomposto il crin. Dalle pupille accese

uscia torbido il guardo; e per le gote,

d'inaridite lagrime segnate,

traspirava il furore. Urta, rovescia

i sorpresi custodi; al re s'avventa:

«Mori», grida fremendo, e gli alza in fronte

il sacrilego ferro.

ARI. Oh Dio!

ALC. Non cangia

il re sito o color. Severo il guardo

gli ferma in faccia; e in grave suon gli dice:

«Temerario, che fai?». (Vedi se il Cielo

veglia in cura de' re!) Gela a que' detti

il giovane feroce. Il braccio in alto

sospende a mezzo il colpo. Il regio aspetto

attonito rimira: impallidisce;

incomincia a tremar: gli cade il ferro;

e dal ciglio, che tanto

minaccioso parea, prorompe il pianto.

ARI. Respiro.

ARG. Oh folle!

AMI. Oh sconsigliato!

ARI. Ed ora

il genitor che fa?

ALC. Di lacci avvolto

ha il colpevole innanzi.

AMI. (Ah! si procuri

di salvar l'infelice).

MEG. E Licida che dice?

ALC. Alle richieste

nulla risponde. È reo di morte, e pare

che nol sappia, o nol curi. Ognor piangendo

il suo Megacle chiama: a tutti il chiede,

lo vuol da tutti; e fra' suoi labbri, come

altro non sappia dir, sempre ha quel nome.

MEG. Più resister non posso. Al caro amico

per pietà chi mi guida?

ARI. Incauto! E quale

sarebbe il tuo disegno? Il genitore

sa che tu l'ingannasti;

sa che Megacle sei; perdi te stesso

presentandoti al re; non salvi altrui.

MEG. Col mio principe insieme

almen mi perderò.

ARI. Senti. E non stimi

consiglio assai miglior, che il padre offeso

vada a placare io stessa?

MEG. Ah! che di tanto

lusingarmi non so.

ARI. Sì, questo ancora

per te si faccia.

MEG. Oh generosa, oh grande,

oh pietosa Aristea! Facciano i numi

quell'alma bella in questa bella spoglia

lungamente albergar. Ben lo diss'io,

quando pria ti mirai, che tu non eri

cosa mortal. Va, mio conforto...

ARI. Ah basta;

non fa d'uopo di tanto.

Un sol de' guardi tuoi

mi costringe a voler ciò che tu vuoi.

Caro, son tua così,

che per virtù d'amor

i moti del tuo cor

risento anch'io.

Mi dolgo al tuo dolor;

gioisco al tuo gioir;

ed ogni tuo desir

diventa il mio.

 




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