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Pietro Metastasio
Il re pastore

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SCENA SECONDA

 

Elisa, poi Agenore

 

ELI.

Questa del campo greco

È la tenda maggior: qui l’idol mio

Certo ritroverò.

AGEN.

Dove t’affretti,

Leggiadra ninfa? (arrestandola)

ELI.

Io vado al re. (vuol passare)

AGEN.

(la ferma)

Perdona:

 

Veder nol puoi.

ELI.

Per qual cagione?

AGEN.

Or siede

Co’ suoi Greci a consiglio.

ELI.

CoGreci suoi?

AGEN.

Sì.

ELI.

Dunque andar poss’io:

Non è quello il mio re. (incamminandosi)

AGEN.

(arrestandola)

Ferma: né pure

 

Al tuo re lice andar.

ELI.

Perché?

AGEN.

Che attenda

Alessandro or convien.

ELI.

L’attenda. Io bramo

Vederlo sol. (come sopra)

AGEN.

No; d’inoltrarti tanto

Non è permesso a te.

ELI.

Dunque l’avverti:

Egli a me venga.

AGEN.

E questo

Non è permesso a lui.

ELI.

Permesso almeno

Mi sarà d’aspettarlo. (siede)

AGEN.

Amica Elisa,

Va, credi a me: per ora

Deh! non turbarci. Io col tuo re fra poco

Più tosto a te verrò.

ELI.

No, non mi fido:

Tu non pensi a Tamiri,

Ed a me penserai?

AGEN.

T’inganni. Appunto

Io voglio ad Alessandro

Di lei parlar. Già incominciai, ma fui

Nell’opera interrotto. Ah! va. S’ei viene,

Gli opportuni momenti

Rubar mi puoi.

ELI.

T’appagherò. (s’alza, sincammina, poi si volge) Frattanto

Non celare ad Aminta

Le smanie mie.

AGEN.

No.

ELI.

(come sopra)

Digli

 

Che le sue mi figuro.

AGEN.

Sì.

ELI.

Da me lungi, oh quanto

Penerà l’infelice! (ad Agenore, ma da lontano)

AGEN.

Molto.

ELI.

E parla di me? (da lontano)

AGEN.

Sempre.

ELI.

(torna ad Agenore)

E che dice?

AGEN.

Ma tu partir non vuoi. Se tutte io deggio

Ridir le sue querele... (con impeto)

ELI.

Vado: non ti sdegnar. Sei pur crudele!

 

Barbaro, oh Dio! mi vedi

Divisa dal mio ben;

Barbaro, e non concedi

Ch’io ne dimandi almen?

Come di tanto affetto

Alla pietà non cedi?

Hai pure un core in petto,

Hai pure un’alma in sen. (parte)

 

 

 




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