Ognun sapea
Che il cavalier straniero
L’avea trafitto; ed alle note insegne
Palese io fui. Nel suo dolor la madre,
Qual tigre orba de’ figli, il suo volea
Vendicar nel mio sangue, e farmi a stento
La mia morte ottener. Già non lontano
Era il mio fin, quando una notte, io credo,
(Ch’ivi per me sempre fu notte) ascolto
Di grida, di minacce,
D’armi, di ferri scossi e d’assi infrante
Strepitoso fragore: e, mentre io penso
Qual ne sia la cagion, faci improvvise
Rischiaran la mia tomba. A me ridente
Un giovane sen corre
Di sembiante real, gridando: ‘Ah! vivi,
Ah! sorgi, Erminio’; e di sua man s’affretta
Intanto a sciorre i miei legami. Io chiedo
Attonito chi sia. ‘Fui’ mi risponde
‘Nemico tuo; ma il conservar chi onora
Al par di te l’umanità cred’io
Debito universal. L’adempio, e vengo
A meritarti amico. Altra mercede
Il tuo da te liberator non chiede.’
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