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Pietro Metastasio
Romolo ed Ersilia

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SCENA OTTAVA

 

Romolo  ed Ersilia

 

ERS.

(Eccolo. La vittoria

È tempo di compir). (s’incammina e s’arresta)

ROM.

(Strano portento

Quel coraggio è per me).

ERS.

(Numi, qual sorte

D’incanto è questo! Appresso a lui di nuovo

Comincio a palpitar).

ROM.

(Come può mai

In un’alma albergar tanto valore

Con sì poca virtù!)

ERS.

(No, non t’arresti

Questo palpito, Ersilia. In ogni assalto

Al guerrier più sicuro

Sembra il passo primier sempre il più duro). (s’avanza con franchezza)

Signor, per brevi istanti

Chiedo che tu m’ascolti.

ROM.

È ver? Non sogno?

La dolce cura mia,

L’unico mio pensier, la bella Ersilia

Viene in traccia di me!

ERS.

(seria)

Dunque ascoltarmi,

 

Romolo, tu non vuoi?

ROM.

Perché?

ERS.

(come sopra)

Lo sai,

 

Quel linguaggio m’offende.

ROM.

A mio dispetto

Vien su le labbra il cor.

ERS.

Se vuoi ch’io resti,

Non far uso di questi

Teneri accenti, e non dir mai che m’ami.

ROM.

(E pur non m’odia). Ubbidirò. Che brami?

ERS.

Ad implorare io vengo

Grazie da te.

ROM.

Tu da me grazie! Ah! dunque

Ignori ancor che dal felice istante

Che prima io t’ammirai, l’impero avesti

Del mio cor, del mio soglio,

Di tutti... Ah! no; disubbidir non voglio.

ERS.

(Costanza, Ersilia. A lui

Si proponga Valeria).

ROM.

E ben, che chiedi?

ERS.

Che di mia mano accetti,

Romolo, un’altra sposa.

ROM.

(con sorpresa)

Io!

ERS.

Sì. L’amica

Valeria io t’offro.

ROM.

A me? (turbato)

ERS.

Valeria è degna,

Il sai, d’essere amata.

ROM.

E a questo segno, ingrata, (con passione di sdegno e di tenerezza)

Insulti all’amor mio! Questa mercede

Meritò la mia fede, il mio rispetto,

Il mio candor, la mia costanza! E come.

Lacerar puoi così, barbara, un core

Dove impressa tu sei, dove tu sempre,

Così barbara ancor, sarai regina?

ERS.

(Ah, non lasciarmi, austerità sabina!)

ROM.

Offrirmi un’altra sposa! E non bastava

Per opprimermi, oh dèi! la tua freddezza,

L’indifferenza tua? Schernirmi ancora!

Disprezzarmi così! Ridurre a questo

Eccesso di tormento

Chi non vive che in te!

ERS.

(Morir mi sento).

ROM.

Semplice! ed io pur dianzi

Dell’amor tuo mi lusingai. Quei detti

Tronchi e confusi, il variar d’aspetto,

L’involontario pianto,

Tutto mi parve un amoroso affanno.

Che inganno, Ersilia! (con tenerezza)

ERS.

(come sopra)

Ah, non è stato inganno!

ROM.

Come! non m’ingannai? (con sorpresa di piacere)

ERS.

(Numi, che dissi mai!)

ROM.

(con impeto d’affetto)

Bella mia fiamma,

 

Dunque è ver, dunque m’ami?

ERS.

Taci; non trionfar.

ROM.

Ma come, amante,

Potesti offrirmi un’altra sposa?

ERS.

Oh Dio,

Non trafiggermi più. Se tu vedermi

Potessi il cor; se tu saper potessi

Quanto han costato a lui

Le mendicate offerte, armi impotenti

Del mio rigor, che tu credesti oltraggi;

Se a spiegarti io giungessi

Dell’alma mia qual barbaro governo

Faccia l’impeto alterno

De’ contrari fra loro affetti miei;

Romolo, io ti farei

Meraviglia e pietà.

ROM.

Dimmi piuttosto

Tenerezza ed amor. Chi fra’ mortali

Ha mai provato un tal contento! È mia

L’adorabile Ersilia: ecco il ridente

Astro del nuovo impero;

Ecco Roma felice.

ERS.

Ah, non è vero!

È speranza infedel; mal ti consiglia;

Tua non sarò.

ROM.

Ma perché mai?

ERS.

Son figlia.

 

Basta così, vincesti;

Ceduto ha il mio rigore;

Tutto il mio cor vedesti:

Non dimandar di più.

Nel suo dover costante

Sempre sarà quest’alma,

Benché a celar bastante

Gli affetti suoi non fu. (parte)

 

 

 




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