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Pietro Metastasio
Semiramide

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SCENA SECONDA

 

Semiramide, Tamiri, Mirteo, Scitalce, seguìti da paggi e cavalieri, e detti.

 

SEMIR.

Ecco, o Tamiri,

Dove gli altrui sospiri

Attendono da te premio e mercede.

(Io tremo e fingo).

TAM.

Ogni misura eccede

La real pompa.

MIR.

E nella reggia assira

Non s’introdusse mai

Con più fasto il piacere.

SEMIR.

(a Scitalce)

Al nuovo sposo

 

Io preparai la fortunata stanza,

Pegno dell’amor mio.

SCIT.

(Finge costanza).

Ah, se quello foss’io,

Chi più di me saria felice?

SEMIR.

(Ingrato!)

IRC.

Come mai del tuo fato (a Scitalce)

Puoi dubitar? Saggia è Tamiri, e vede

Che il più degno tu sei.

MIR.

Che ascolto! Ircano,

Chi mai ti rese umano?

Dov’è il tuo foco e l’impeto natio?

IRC.

Comincio, amico, ad erudirmi anch’io.

TAM.

Così mi piaci.

MIR.

È molto.

SCIT.

(a Tamiri ed a Semiramide) Io non intendo

Se da senno o per gioco

Parla così.

IRC.

(M’intenderai fra poco).

SEMIR.

Più non si tardi. Ognuno

La mensa onori; e intanto

Misto risuoni a liete danze il canto.

 

(Dopo seduta nel mezzo Semiramide, siedono alla destra di lei Tamiri e poi Scitalce; alla sinistra Mirteo, poi Ircano: Sibari è in piedi appresso Ircano)

 

CORO

Il piacer, la gioia scenda,

Fidi sposi, al vostro cor:

Imeneo la face accenda,

La sua face accenda Amor.

PARTE DEL CORO

Fredda cura, atro sospetto

Non vi turbi e non v’offenda;

E d’intorno al regio letto

Con purissimo splendor

CORO

Imeneo la face accenda,

La sua face accenda Amor.

PARTE DEL CORO

Sorga poi prole felice,

Che ne’ pregi ugual si renda

Alla bella genitrice,

All’invitto genitor.

CORO

Imeneo la face accenda,

La sua face accenda Amor

PARTE DEL CORO

E, se fia che amico nume

Lunga età non vi contenda,

A scaldar le fredde piume,

A destarne il primo ardor,

CORO

Imeneo la face accenda,

La sua face accenda Amor.

SEMIR.

In lucido cristallo aureo liquore,

Sibari, a me si rechi.

SIB.

(Ardir, mio core). (va a prendere la tazza e vi pone destramente il veleno)

IRC.

(Il colpo è già vicino).

SEMIR.

(Oh Dio! s’appressa

Il momento funesto).

TAM.

(Che gioia!)

SCIT.

(Che sarà?)

MIR.

(Che punto è questo!)

SIB.

Compìto è il cenno. (posa la sottocoppa con la tazza avanti a Semiramide, e va a lato d’Ircano)

SEMIR.

Or prendi,

Tamiri, e scegli. ( la tazza a Tamiri)

Il sospirato dono

Presenta a chi ti piace;

E goda quegli il grande acquisto in pace.

TAM.

Principi, il dubbio, in cui fin or m’involse

L’uguaglianza de’ merti,

Discioglie il genio, e non offende alcuno

Se al talano ed al trono

L’uno o l’altro solleva.

Ecco lo sposo e il re: Scitalce beva. (posa la tazza davanti a Scitalce)

SEMIR.

(Io lo previdi).

MIR.

(Oh sorte!)

SCIT.

(Ah, qual impegno!)

SIB.

(Or s’avvicina a morte).

IRC.

Via, Scitalce, che tardi? Il re tu sei.

SCIT.

(E deggio in faccia a lei

Annodarni a Tamiri?)

TAM.

Egli è dubbioso ancora. (a Semiramide)

SEMIR.

Al fin risolvi.

SCIT.

E Nino

Lo comanda a Scitalce?

SEMIR.

Io non comando:

Fa il tuo dover.

SCIT.

Sì, lo farò. (L’ingrata

Si punisca così). D’ogni altro amore

Mi scordo in questo punto... (volendo bere, ma poi si arresta)

(Ah, non ho core).

Porgi a più degno oggetto

Il dono, o principessa: io non l’accetto. (posa la tazza sopra la mensa)

TAM.

Come!

SIB.

(Oh sventura!)

IRC.

(a Scitalce)

E lei ricusi, allora

 

Che al regno ti destina?

Non s’offende in tal guisa una regina.

SEMIR.

Qual cura hai tu, se accetta

O se rifiuta il dono? (ad Ircano)

MIR.

Lascialo in pace.

IRC.

(a Semiramide)

Io sono

 

Difensor di Tamiri: e tu non devi (a Scitalce)

La tazza ricusar: prendila e bevi.

TAM.

Principe, (ad Ircano)  in van ti sdegni: ei col rifiuto

Non me, se stesso offende,

E al demerito suo giustizia rende.

IRC.

No, no; voglio ch’ei beva.

TAM.

Eh! taci. Intanto,

Per degno premio al tuo cortese ardire,

L’offerta di mia mano

Ricevi tu con più giustizia, Ircano. (presenta la tazza ad Ircano)

IRC.

Io!

TAM.

Sì. Con questo dono

Te destino al mio trono, all’amor mio.

IRC.

Sibari, che farò? (piano a Sibari)

SIB.

(piano ad Ircano) Mi perdo anch’io.

TAM.

Perché taci così? Forse tu ancora

Vuoi ricusarmi?

IRC.

No, non ti ricuso.

T’amo... Vorrei... Ma temo... (Io son confuso).

SEMIR.

Principe, tu non devi

Un momento pensar: prendila e bevi.

Troppo il rispetto offendi

A Tamiri dovuto.

MIR.

Ma parla.

TAM.

Ma risolvi.

IRC.

Ho risoluto. (s’alza e prende la tazza)

Vada la tazza a terra. (getta la tazza)

SCIT.

E qual furore insano...

IRC.

Così riceve un tuo rifiuto Ircano.

TAM.

Dunque ridotta io sono

A mendicar chi le mie nozze accetti?

Dunque per oltraggiarmi

In Assiria veniste? Il mio sembiante

È deforme a tal segno,

Che a farlo tollerar non basta un regno?

SEMIR.

È giusta l’ira tua.

MIR.

Dell’amor mio

Dovresti, o principessa...

TAM.

(s’alza e seco tutti)

Alcun d’amore

 

Più non mi parli. Io sono offesa, e voglio

Punito l’offensor; Scitalce mora.

Ei col primo rifiuto

Il mio dono avvilì. Chi sua mi brama,

A lui trafigga il petto:

Venga tinto di sangue, ed io l’accetto.

 

Tu mi disprezzi, ingrato: (a Scitalce)

Ma non andarne altero:

Trema d’aver mirato,

Superbo! il mio rossor.

Chi vuol di me l’impero,

Passi quel core indegno:

Voglio che sia lo sdegno

Foriero dell’amor. (parte)

 

 

 




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