MIR.
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(Al traditore in faccia il sangue io sento
Agitar nelle vene). (guardando Scitalce)
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SCIT.
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(Io sento il core
Agitarsi nel petto in faccia a lei). (guardando
Semiramide)
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SEMIR.
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(Spettacolo funesto agli occhi miei!)
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(Due
capitani delle guardie presentano l’arme a Scitalce ed a Mirteo, e si
ritirano presso i cancelli. Mentre Mirteo e Scitalce si muovono per
combattere, esce frettolosa Tamiri)
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TAM.
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Ah, fermati, Mirteo. Sai ch’io
non voglio
Più vendetta da te.
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MIR.
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Vendico i miei,
Non i tuoi torti. È un traditor costui:
Mentisce il nome, egli s’appella
Idreno;
Egli la mia germana
Dall’Egitto rapì.
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SIB.
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(Stelle, che fia!)
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SCIT.
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Saprò, qualunque io sia...
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SEMIR.
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Mirteo, t’inganni.
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MIR.
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Nella reggia d’Egitto
Sibari lo conobbe; egli l’afferma.
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SIB.
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(Aimè)!
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SCIT.
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Che! mi
tradisci, (a Sibari)
Perfido amico? È ver, mi finsi
Idreno;
È ver, la tua germana
Là del Nilo alle sponde
Rapii, trafissi e la gittai nell’onde.
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MIR.
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Empio! inumano!
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SCIT.
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(cava il foglio)
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In questo foglio veda
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S’ella fu, s’io son reo.
Sibari lo vergò: leggi, Mirteo. (lo dà a Mirteo)
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SIB.
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(Tremo).
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SEMIR.
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(Che
foglio è quello?)
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MIR.
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(legge)
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’Amico Idreno,
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Ad altro amante in seno
Semiramide tua porti tu stesso.
L’insidia è al Nilo appresso. Ella,
che brama
Solo esporti al periglio
Di doverla rapir, ti finge amore:
Fugge con te, ma col disegno infame
Di privarti di vita
E poi trovarsi unita
A quello a cui la stringe il genio antico.
Vivi. Ha di te pietà Sibari amico’.
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SEMIR.
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(Stelle, che inganno orrendo!)
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MIR.
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Sibari, io non t’intendo. In questo foglio
Sei di Scitalce amico; e pur poc’anzi
Da me, lo sai, tu lo volevi oppresso.
Come amico e nemico
Di Scitalce esser può Sibari istesso?
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SIB.
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Allor... (Mi perdo). Io non credea... Parlai...
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MIR.
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Perfido, ti confondi! Ah, Nino, è
questi
Un traditor; da’ labbri suoi si tragga
A forza il ver.
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SEMIR.
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(Se qui a parlar
l’astringo,
Al popolo ei mi scopre). In chiuso loco
Costui si porti; e sarà mia la cura
Che tutto ei sveli.
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SIB.
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A che portarmi altrove?
Qui parlerò.
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SEMIR.
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No, vanne: i detti tuoi
Solo ascoltar vogl’io.
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SCIT.
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Perché?
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MIR.
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Resti.
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IRC.
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Si senta.
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SIB.
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Udite.
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SEMIR.
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(Oh Dio!)
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SIB.
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Semiramide amai: lo tacqui. Intesi
L’amor suo con Scitalce: a lei concessi
Agio a fuggir. Quanto quel foglio
afferma
Finsi per farla mia.
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SCIT.
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Fingesti! Io vidi
Pure il rival, vidi gli armati.
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SIB.
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Io fui
Che, mal noto fra l’ombre,
Sul Nilo v’attendea. Volli assalirti,
Vedendoti con lei;
Ma fra l’ombre in un tratto io vi
perdei.
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SCIT.
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Ah, perfido! (Che feci!)
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SIB.
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Udite: ancora
Molto mi resta a dir.
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SEMIR.
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Sibari, basta!
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IRC.
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No; pria si chiami autore
De’ falli apposti a me.
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SIB.
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Tutti son miei.
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SEMIR.
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Basta, non più!
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SIB.
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No, non mi basta.
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SEMIR.
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(Oh dèi!)
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SIB.
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Già che perduto io sono,
Altri lieto non sia. Popoli, a
voi
Scopro un inganno: aprite i lumi. Ingombra
Una femmina imbelle il vostro
impero...
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SEMIR.
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Taci. (È tempo d’ardir). Popoli, è vero: (s’alza in
piedi sul trono)
Semiramide io son. Del figlio in vece
Regnai fin or, ma per giovarvi. Io tolsi
Del regno il freno ad una destra imbelle,
Non atta a moderarlo; io vi difesi
Dal nemico furor; d’eccelse mura
Babilonia adornai;
Coll’armi io dilatai
I regni dell’Assiria. Assiria istessa
Dica per me se mi provò fin
ora,
Sotto spoglia fallace,
Ardita in guerra e moderata in pace.
Se sdegnate ubbidirmi, ecco
depongo
Il serto mio. (depone la corona sul trono)
Non è lontano il figlio:
Dalla reggia vicina
Porti sul trono il piè.
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CORO
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Viva lieta, e sia regina
Chi fin or fu nostro re. (Semiramide
si ripone in capo la corona)
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MIR.
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Ah, germana!
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SEMIR.
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Ah, Mirteo! (scende dal
trono ed abbraccia Mirteo)
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SCIT.
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Perdono,
o cara:
Son reo... (s’inginocchia)
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SEMIR.
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Sorgi, e t’assolva
Della mia destra il dono. (porge la mano a Scitalce)
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SCIT.
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Oh Dio! Tamiri,
Coll’idol mio sdegnato,
Io ti promisi amor...
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TAM.
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Tolgano i numi
Ch’io turbi un sì bel nodo. In
questa mano
Ecco il premio, Mirteo, da te bramato. (dà la mano a
Mirteo)
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SCIT.
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Anima generosa!
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MIR.
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Oh me beato!
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IRC.
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Lasciatemi svenar Sibari, e poi
Al Caucaso natio torno contento.
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SEMIR.
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D’ogni esempio maggiori,
Principe, i casi miei vedi che
sono: (ad Iracno)
Sia maggior d’ogni esempio anche il perdono.
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CORO
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Donna illustre, il Ciel destina
A te regni, imperi a te.
Viva lieta, e sia regina
Chi fin or fu nostro re.
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Nel
tempo del coro che termina l’opera, del suo ritornello e della sinfonia che
precede la Licenza, tutta la scena si ricopre di dense nuvole,
le quali, diradandosi poi a poco a poco, scopron nell’alto la luminosa reggia
di Giove su le cinte dell’Olimpo, ed una porzione d’arcobaleno, che si perde
nel basso .fra le nuvole, che circondan
sempre le scoscese falde del monte. Si vede Giove assiso nel suo trono, nel
più distinto luogo della reggia: all’intorno e sotto di lui Giunone, Venere,
Pallade, Apollo, Marte, Mercurio, e la schiera degli
dèi minori e de’ Geni celesti, e la dea Iride a’ suoi piedi in atto di
riceverne un comando. Questa (quando già sia la scena al suo punto),
levandosi rispettosamente, va a sedere in un leggiero
carro tirato da pavoni, e già innanzi preparato sull’alto dell’arcobaleno; e,
servendole di strada l’arco medesimo, scende velocemente al basso, dove,
smontata dal carro, corteggiata da’ Geni celesti, si avanza a pronunciare la
seguente
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