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Pietro Metastasio
Siroe

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SCENA TERZA

 

Emira in abito d’uomo, col nome d’Idaspe, e detti.

 

EMI.

Perché di tanto sdegno,

Principi, vi accendete?

Ah! cessino una volta

Le fraterne contese. In sì bel giorno,

D’amor, di genio eguali

Seleucia vi rivegga e non rivali.

MED.

A placar m’affatico

Gli sdegni del germano:

Tutto sopporto e m’affatico in vano.

SIR.

Come finge modestia!

EMI.

È a me palese

L’umiltà di Medarse.

SIR.

Ah! caro Idaspe,

È suo costume antico

D’insultar simulando.

MED.

(ad Emira)

Il senti, amico?

Quant’odio in seno accolga,

Vedilo al volto acceso, al guardo bieco.

EMI.

Parti; non l’irritar, lasciami seco. (a Medarse)

SIR.

Perfido!

MED.

Oh Dio! m’oltraggi

Senza ragion. Deh! tu lo placa, Idaspe:

Digli che adoro in lui

Della Persia il sostegno e il mio sovrano.

EMI.

Vanne. (a Medarse)

MED.

(Il trionfo mio non è lontano). (parte)

 

 

 




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