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Pietro Metastasio
Temistocle

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SCENA TERZA

 

Neocle, Aspasia e detto.

 

NEOC.

O caro padre!

ASP.

O amato

Mio genitore!

NEOC.

È dunque ver che a Serse

Viver grato eleggesti?

ASP.

È dunque vero

Che sentisti una volta

Pietà di noi, pietà di te?

TEMIS.

Tacete,

E ascoltatemi entrambi. È noto a voi

A qual esatta ubbidienza impegni

Un comando paterno?

NEOC.

È sacro nodo.

ASP.

È inviolabil legge.

TEMIS.

E ben, v’impongo

Celar quanto io dirò, fin che l’impresa

Risoluta da me non sia matura.

NEOC.

Pronto Neocle il promette.

ASP.

Aspasia il giura.

TEMIS.

Dunque sedete, e di coraggio estremo

Date prova in udirmi. (siede)

NEOC.

(Io gelo).

ASP.

(Io tremo). (siedono Neocle ed Aspasia)

TEMIS.

L’ultima volta è questa,

Figli miei, ch’io vi parlo. Infin ad ora

Vissi alla gloria; or, se più resto in vita,

Forse di tante pene

Il frutto perderei: morir conviene.

ASP.

Ah, che dici!

NEOC.

Ah, che pensi!

TEMIS.

È Serse il mio

Benefattor; patria la Grecia. A quello

Gratitudine io deggio;

A questa fedeltà. Si oppone all’uno

L’altro dovere; e, se di loro un solo

È da me violato,

O ribelle divengo, o sono ingrato.

Entrambi questi orridi nomi io posso

Fuggir, morendo. Un violento ho meco

Opportuno velen...

ASP.

Come! ed a Serse

Andar non promettesti?

TEMIS.

E in faccia a lui

L’opra compir si vuol.

NEOC.

Sebaste afferma

Che a giurar tu verrai...

TEMIS.

So ch’ei lo crede,

E mi giova l’error. Con questa speme

Serse m’ascolterà. La Persia io bramo

Spettatrice al grand’atto, e di que’ sensi,

Che per Serse ed Atene in petto ascondo,

Giudice io voglio e testimonio il mondo.

NEOC.

(Oh noi perduti!)

ASP.

(Oh me dolente!) (piangono)

TEMIS.

Ah, figli,

Qual debolezza è questa! A me celate

Questo imbelle dolor. D’esservi padre

Non mi fate arrossir. Pianger dovreste

S’io morir non sapessi.

ASP.

Ah! se tu mori,

Noi che farem?

NEOC.

Chi resta a noi?

TEMIS.

Vi resta

Della virtù l’amore,

Della gloria il desio,

L’assistenza del Ciel, l’esempio mio.

ASP.

Ah! padre...

TEMIS.

Udite. Abbandonarvi io deggio

Soli, in mezzo a’ nemici,

In terreno stranier, senza i sostegni

Necessari alla vita, e delle umane

Instabili vicende

Non esperti abbastanza; onde, il preveggo,

Molto avrete a soffrir. Siete miei figli:

Rammentatelo, e basta. In ogni incontro

Mostratevi con l’opre

Degni di questo nome. I primi oggetti

Sian de’ vostri pensieri

L’onor, la patria e quel dovere a cui

Vi chiameran gli dèi. Qualunque sorte

Può farvi illustri, e può far uso un’alma

D’ogni nobil suo dono

Fra le selve così, come sul trono.

Del nemico destino

Non cedete agl’insulti: ogni sventura

Insoffribil non dura,

Soffribile si vince. Alle bell’opre

Vi stimoli la gloria,

Non la mercé. Vi faccia orror la colpa,

Non il castigo. E, se giammai costretti

Vi trovaste dal fato a un atto indegno,

V’è il cammin d’evitarlo: io ve l’insegno. (s’alza e s’alzano Neocle e Aspasia)

NEOC.

Deh! non lasciarne ancora.

ASP.

Ah! padre amato

Dunque mai più non ti vedrò?

TEMIS.

Tronchiamo

Questi congedi estremi. È troppo, o figli,

Troppo è tenero il passo: i nostri affetti

Potrebbe indebolir. Son padre anch’io,

E sento al fin... Miei cari figli, addio! (gli abbraccia)

 

Ah! frenate il pianto imbelle;

Non è ver, non vado a morte;

Vo del fato, delle stelle,

Della sorte a trionfar.

Vado il fin de’ giorni miei

Ad ornar di nuovi allori;

Vo di tanti miei sudori

Tutto il frutto a conservar. (parte)

 

 

 




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