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Pietro Metastasio Il trionfo di Clelia IntraText CT - Lettura del testo |
SCENA QUARTA
Gabinetti
Porsenna e Tarquinio
Tarquinio, il so: del violato patto Roma è la rea; chiara è la prova. E pure Incredibil mi sembra, io tel confesso, Che in un animo istesso Possa allignar da sì contrario seme Tanta virtù, tanta perfidia insieme. |
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Ecco dell’alme grandi Il periglio maggior. Signor, tu credi Tutti simili a te. Pur del fallace Carattere romano in Muzio avesti Guari non ha l’esempio. |
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È ver; ma quella Atroce sua fermezza, Quell’eroico dispetto, Quel disperato ardir mertan rispetto. |
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Ma che d’Orazio mai, Che giudicar potrai? Sotto la fede D’una tregua giurata Tesser sorprese, inosservato al campo Sottrarsi e, d’orator fatto guerriero, Noi minacciar, non è delitto? |
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È vero. Ma per la patria intanto Solo esporsi a perir, resister solo Contro il furor di cento armati e cento, Di virtù, di valore è un bel portento. |
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Chiaro di mia sventura Ah pur troppo è il tenor! Quell’orgoglioso Fasto roman t’abbaglia, e il tuo mi scema Benefico favor. |
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T’inganni. Al merto Quando giustizia io rendo, L’amistà non offendo. Armata, il vedi, Qui l’Etruria è a tuo pro. |
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Dunque a che giova Qui nell’ozio languir? Fuor che nell’armi Non v’è più speme. |
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E ben, le già disposte Al tragitto e all’assalto Macchine e navi al fin movansi all’opra Col notturno favore; e tu le schiere, Quando il giorno a spuntar non sia lontano... |