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Pietro Metastasio
Antigono

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SCENA QUINTA

 

Alessandro, poi Ismene

 

ALESS.

Or non v’è chi felice

Più di me possa dirsi. Ecco il più caro

D’ogni trionfo.

ISM.

(con ironia)

Oh quanto, ancorché infido,

 

Compatisco Alessandro! Essere amante,

Vedersi disprezzar, son troppo in vero,

Troppo barbare pene.

ALESS.

Tanto per me non tormentarti, Ismene.

ISM.

L’ingrata Berenice

Al fin pensar dovea che tu famosa

La sua beltà rendesti. Uguali andranno

Ai dì remoti, e tu cagion ne sei,

Tessalonica a Troia, Elena a lei.

ALESS.

Forse m’ama perciò.

ISM.

T’ama?

ALESS.

E mia sposa

Oggi esser vuole.

ISM.

(Oh dèi!) D’un cangiamento

Tanto improvviso io la ragion non vedo.

ALESS.

Della pietà d’Ismene opra lo credo.

ISM.

Ah, crudel! mi deridi?

ALESS.

Eh! questi nomi

D’infido e di crudel poni in oblio,

Principessa, una volta. I nostri affetti

Scelta non fur, ma legge. Ignoti amanti,

Ci destinaro i genitori a un nodo,

Che l’anime non strinse. Essermi Ismene

Grata d’un’incostanza al fin dovria;

Onde il frutto è comun, la colpa è mia.

ISM.

E perché dunque amore

Tante volte giurarmi?

ALESS.

Io lo giurava

Senza intenderlo allor. Credea che sempre,

Alle belle parlando,

Si parlasse così.

ISM.

Tanta in Epiro

Innocenza si trova?

 

 

 




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