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Pietro Metastasio
Artaserse

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SCENA ULTIMA

 

Arbace e detti.

 

ARB.

Ecco Arbace, o monarca, a’ piedi tuoi.

ARTAS.

Vieni, vieni al mio sen. Perdona, amico,

S’io dubitai di te. Troppo è palese

La tua bella innocenza. Ah! fa ch’io possa

Con franchezza premiarti. Ogni sospetto

Nel popolo dilegua, e rendi a noi

Qualche ragion del sanguinoso acciaro,

Che in tua man si trovò, della tua fuga,

Del tuo tacer, di quanto

Ti fece reo.

ARB.

S’io meritai, signore,

Qualche premio da te, lascia ch’io taccia.

Il mio labbro non mente.

Credi a chi ti salvò: sono innocente.

ARTAS.

Giuralo almeno, e l’atto

Terribile e solenne

Faccia fede del vero. Ecco la tazza

Al rito necessaria. Or, seguitando

Della Persia il costume,

Vindice chiama e testimonio un nume.

ARB.

Son pronto. (prende in mano la tazza)

MAN.

(Ecco il mio ben fuor di periglio).

ARTAB.

(Che fo? Se giura, avvelenato è il figlio).

ARB.

«Lucido Dio, per cui l’april fiorisce,

Per cui tutto nel mondo e nasce e muore»...

ARTAB.

(Misero me!)

ARB.

«Se il labbro mio mentisce

Si cangi entro il mio seno

La bevanda vital»... (in atto di voler bere)

ARTAB.

Ferma! è veleno.

ARTAS.

Che sento!

ARB.

Oh dèi!

ARTAS.

Perché sin or tacerlo?

ARTAB.

Perché a te l’apprestai.

ARTAS.

Ma qual furore

Contra di me?

ARTAB.

Dissimular non giova:

Già mi tradì l’amor di padre. Io fui

Di Serse l’uccisore. Il regio sangue

Tutto versar volevo. È mia la colpa,

Non è d’Arbace. Il sanguinoso acciaro

Per celarlo io gli diedi. Il suo pallore

Era orror del mio fallo. Il suo silenzio

Pietà di figlio. Ah! se minore in lui

La virtù fosse stata o in me l’amore,

Compivo il mio disegno;

E involata t’avrei la vita e ’l regno.

ARB.

(Che dice!)

ARTAS.

Anima rea! m’uccidi il padre;

Della morte di Dario

Colpevole mi rendi: a quanti eccessi

T’indusse mai la scellerata speme!

Empio, morrai.

ARTAB.

Noi moriremo insieme. (snuda la spada, e seco Artaserse in atto di difesa)

ARB.

(Stelle!)

ARTAB.

Amici non resta

Che un disperato ardir. Mora il tiranno! (le guardie sedotte si pongono in atto di assalire)

ARB.

Padre, che fai?

ARTAB.

Voglio morir da forte.

ARB.

Deponi il ferro o beverò la morte. (in atto di bere)

ARTAB.

Folle, che dici?

ARB.

Se Artaserse uccidi,

No, più viver non devo.

ARTAB.

Eh! lasciami compir... (in atto di assalire)

ARB.

Guardami, io bevo. (in atto di bere)

ARTAB.

Férmati, figlio ingrato!

Confuso, disperato

Vuoi che per troppo amarti un padre cada?

Vincesti, ingrato figlio: ecco la spada. (getta la spada, e le guardie sollevate si ritirano fuggendo)

MAN.

Oh fede!

SEM.

Oh tradimento!

ARTAS.

Olà, seguite

I fugaci ribelli, ed Artabano

A morir si conduca.

ARB.

Oh Dio! fermate.

Signor, pietà.

ARTAS.

Non la sperar per lui:

Troppo enorme è il delitto. Io non confondo

Il reo coll’innocente. A te Mandane

Sarà sposa, se vuoi; sarà Semira

A parte del mio trono:

Ma per quel traditor non v’è perdono.

ARB.

Toglimi ancor la vita. Io non la voglio,

Se per esserti fido,

Se per salvarti, il genitore uccido.

ARTAS.

Oh virtù che innamora!

ARB.

Ah! non domando

Da te clemenza: usa rigor; ma cambia

La sua nella mia morte. Al regio piede, (s’inginocchia)

Chi ti salvò, ti chiede

Di morir per un padre. In questa guisa

S’appaghi il tuo desio:

È sangue d’Artabano il sangue mio.

ARTAS.

Sorgi, non più. Rasciuga

Quel generoso pianto, anima bella.

Chi resister ti può? Viva Artabano,

Ma viva almeno in doloroso esiglio;

E doni il tuo sovrano

L’error d’un padre alla virtù d’un figlio.

 

CORO

Giusto re, la Persia adora

La clemenza assisa in trono,

Quando premia, col perdono,

D’un eroe la fedeltà.

La giustizia è bella allora

Che compagna ha la pietà.

 




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