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Pietro Metastasio Attilio Regolo IntraText CT - Lettura del testo |
MAN. Venga Regolo, e venga
l'africano orator. Dunque i nemici
braman la pace?
PUBLIO O de' cattivi almeno
vogliono il cambio. A Regolo han commesso
d'ottenerlo da voi. Se nulla ottiene,
a pagar col suo sangue
il rifiuto di Roma egli a Cartago
è costretto a tornar. Giurollo, e vide
pria di partir del minacciato scempio
i funesti apparecchi. Ah! non sia vero
che a sì barbare pene
un tanto cittadin...
MAN. T'accheta: ei viene.
AMIL. (Regolo, a che t'arresti? È forse nuovo
per te questo soggiorno?)
REG. (Penso qual ne partii, qual vi ritorno).
AMIL. Di Cartago il Senato,
bramoso di depor l'armi temute,
al Senato di Roma invia salute.
E, se Roma desia
anche pace da lui, pace gl'invia.
MAN. Siedi ed esponi. E tu l'antica sede,
Regolo, vieni ad occupar.
REG. Ma questi
chi sono?
MAN. I padri.
REG. E tu chi sei?
MAN. Conosci
il console sì poco?
REG. E fra il console e i padri un servo ha loco?
MAN. No; ma Roma si scorda
il rigor di sue leggi
per te, cui dee cento conquiste e cento.
REG. Se Roma se ne scorda, io gliel rammento.
MAN. (Più rigida virtù chi vide mai?)
PUBLIO Né Publio sederà.
REG. Publio, che fai?
PUBLIO Compisco il mio dover: sorger degg'io
dove il padre non siede.
REG. Ah tanto in Roma
son cambiati i costumi! Il rammentarsi
fra le pubbliche cure
d'un privato dover, pria che tragitto
in Africa io facessi, era delitto.
PUBLIO Ma...
REG. Siedi, Publio; e ad occupar quel loco
più degnamente attendi.
PUBLIO Il mio rispetto
innanzi al padre è naturale istinto.
REG. Il tuo padre morì, quando fu vinto.
MAN. Parla, Amilcare, ormai.
AMIL. Cartago elesse
Regolo a farvi noto il suo desio.
Ciò ch'ei dirà, dice Cartago ed io.
MAN. Dunque Regolo parli.
AMIL. Or ti rammenta
che, se nulla otterrai,
giurasti...
REG. Io compirò quanto giurai.
MAN. (Di lui si tratta: oh come
parlar saprà!)
PUBLIO (Numi di Roma, ah voi
inspirate eloquenza a' labbri suoi!)
REG. La nemica Cartago,
a patto che sia suo quant'or possiede,
pace, o padri coscritti, a voi richiede.
Se pace non si vuol, brama che almeno
de' vostri e suoi prigioni
termini un cambio il doloroso esiglio.
Ricusar l'una e l'altro è il mio consiglio.
AMIL. (Come!)
PUBLIO (Aimè!)
MAN. (Son di sasso).
REG. Io della pace
i danni a dimostrar non m'affatico;
se tanto la desia, teme il nemico.
MAN. Ma il cambio?
REG. Il cambio asconde
frode per voi più perigliosa assai.
AMIL. Regolo?
REG. Io compirò quanto giurai.
PUBLIO (Numi! il padre si perde).
REG. Il cambio offerto
mille danni ravvolge;
ma l'esempio è il peggior. L'onor di Roma,
il valor, la costanza,
la virtù militar, padri, è finita,
se ha speme il vil di libertà, di vita.
Qual prò che torni a Roma
chi a Roma porterà l'orme sul tergo
della sferza servil? chi l'armi ancora
di sangue ostil digiune
vivo depose, e per timor di morte
del vincitor lo scherno
soffrir si elesse? Oh vituperio eterno!
MAN. Sia pur dannoso il cambio:
a compensarne i danni
basta Regolo sol.
REG. Manlio, t'inganni:
Regolo è pur mortal.Sento ancor io
l'ingiurie dell'etade. Utile a Roma
già poco esser potrei: molto a Cartago
ben lo saria la gioventù feroce,
che per me rendereste. Ah sì gran fallo
da voi non si commetta. Ebbe il migliore
de' miei giorni la patria, abbia il nemico
l'inutil resto. Il vil trionfo ottenga
di vedermi spirar; ma vegga insieme
che ne trionfa in vano,
che di Regoli abbonda il suol romano.
MAN. (Oh inudita costanza!)
PUBLIO (Oh coraggio funesto!)
AMIL. (Che nuovo a me strano linguaggio è questo!)
MAN. L'util non già dell'opre nostre oggetto,
ma l'onesto esser dee; né onesto a Roma
l'esser ingrata a un cittadin saria.
REG. Vuol Roma essermi grata? Ecco la via.
Questi barbari, o padri,
m'han creduto sì vil, che per timore
io venissi a tradirvi. Ah questo oltraggio
d'ogni strazio sofferto è più inumano.
Vendicatemi, o padri; io fui romano.
Armatevi, correte
a sveller da' lor tempii
l'aquile prigioniere. In sin che oppressa
l'emula sia non deponete il brando.
Fate ch'io là tornando
legga il terror dell'ire vostre in fronte
a' carnefici miei; che lieto io mora
nell'osservar fra' miei respiri estremi
come al nome di Roma Africa tremi.
AMIL. (La maraviglia agghiaccia
gli sdegni miei).
PUBLIO (Nessun risponde? Oh Dio!
mi trema il cor).
MAN. Domanda
più maturo consiglio
dubbio sì grande. A respirar dal nostro
giusto stupor spazio bisogna. In breve
il voler del Senato
tu, Amilcare, saprai. Noi, padri, andiamo
l'assistenza de' numi
pria di tutto a implorar.
REG. V'è dubbio ancora?
MAN. Sì, Regolo: io non veggo
se periglio maggiore
è il non piegar del tuo consiglio al peso,
o se maggior periglio
è il perder chi sa dar sì gran consiglio.
Tu, sprezzator di morte,
dai per la patria il sangue;
ma il figlio suo più forte
perde la patria in te.
Se te domandi esangue,
molto da lei domandi:
d'anime così grandi
prodigo il Ciel non è.