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Pietro Metastasio Attilio Regolo IntraText CT - Lettura del testo |
ATTO SECONDO
REG. Publio, tu qui! Si tratta
della gloria di Roma,
dell'onor mio, del pubblico riposo,
e in Senato non sei?
PUBLIO Raccolto ancora,
signor, non è.
REG. Va, non tardar; sostieni
fra i padri il voto mio: mostrati degno
dell'origine tua.
PUBLIO Come! e m'imponi
che a fabbricar m'adopri
io stesso il danno tuo?
REG. Non è mio danno
quel che giova alla patria.
PUBLIO Ah di te stesso,
signore, abbi pietà.
REG. Publio, tu stimi
dunque un furore il mio? Credi ch'io solo,
fra ciò che vive, odii me stesso? Oh quanto
t'inganni! Al par d'ogni altro
bramo il mio ben, fuggo il mio mal. Ma questo
trovo sol nella colpa, e quello io trovo
nella sola virtù. Colpa sarebbe
della patria col danno
ricuperar la libertà smarrita;
ond'è mio mal la libertà, la vita:
virtù col proprio sangue
è della patria assicurar la sorte;
ond'è mio ben la servitù, la morte.
PUBLIO Pur la patria non è...
REG. La patria è un tutto,
di cui siam parti. Al cittadino è fallo
considerar se stesso
separato da lei. L'utile o il danno,
ch'ei conoscer dee solo, è ciò che giova
o nuoce alla sua patria, a cui di tutto
è debitor. Quando i sudori e il sangue
sparge per lei, nulla del proprio ei dona;
rende sol ciò che n'ebbe. Essa il produsse,
l'educò, lo nudrì. Con le sue leggi
dagl'insulti domestici il difende,
dagli esterni con l'armi. Ella gli presta
nome, grado ed onor: ne premia il merto;
ne vendica le offese; e madre amante
a fabbricar s'affanna
la sua felicità, per quanto lice
al destin de' mortali esser felice.
Han tanti doni, è vero,
il peso lor. Chi ne ricusa il peso,
rinunci al benefizio; a far si vada
d'inospite foreste
mendìco abitatore; e là, di poche
misere ghiande e d'un covil contento,
viva libero e solo a suo talento.
PUBLIO Adoro i detti tuoi. L'alma convinci,
ma il cor non persuadi. Ad ubbidirti
la natura repugna. Al fin son figlio,
non lo posso obbliar.
REG. Scusa infelice
per chi nacque romano. Erano padri
Bruto, Manlio, Virginio...
PUBLIO È ver; ma questa
troppo eroica costanza
sol fra' padri restò. Figlio non vanta
Roma fin or, che a proccurar giungesse
del genitor lo scempio.
REG. Dunque aspira all'onor del primo esempio.
Va.
PUBLIO Deh...
REG. Non più. Della mia sorte attendo
la notizia da te.
PUBLIO Troppo pretendi,
troppo, o signor.
REG. Mi vuoi straniero, o padre?
Se stranier, non posporre
l'util di Roma al mio; se padre, il cenno
rispetta, e parti.
PUBLIO Ah se mirar potessi
i moti del cor mio, rigido meno
forse con me saresti.
REG. Or dal tuo core
prove io vo' di costanza e non d'amore.
PUBLIO Ah, se provar mi vuoi,
chiedimi, o padre, il sangue;
e tutto a' piedi tuoi,
padre, lo verserò.
Ma che un tuo figlio istesso
debba volerti oppresso?
Gran genitor, perdona,
tanta virtù non ho.