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Pietro Metastasio Attilio Regolo IntraText CT - Lettura del testo |
REG. Il gran punto s'appressa, ed io pavento
che vacillino i padri. Ah voi di Roma
deità protettrici, a lor più degni
sensi inspirate.
MAN. A custodir l'ingresso
rimangano i littori; e alcun non osi
qui penetrar.
REG. (Manlio! A che viene?)
MAN. Ah lascia
che al sen ti stringa, invitto eroe.
REG. Che tenti!
Un console...
MAN. Io nol sono
Regolo, adesso: un uom son io che adora
la tua virtù, la tua costanza; un grande
emulo tuo, che a dichiarar si viene
vinto da te; che, confessando ingiusto
l'avverso genio antico,
chiede l'onor di diventarti amico.
REG. Dell'alme generose
solito stil. Più le abbattute piante
non urta il vento, o le solleva. Io deggio
così nobile acquisto
alla mia servitù.
MAN. Sì, questa appieno
qual tu sei mi scoperse; e mai sì grande,
com'or fra' ceppi, io non ti vidi. A Roma
vincitor de' nemici
spesso tornasti; or vincitor ritorni
di te, della fortuna. I lauri tuoi
mossero invidia in me; le tue catene
destan rispetto. Allora
un eroe, lo confesso,
Regolo mi parea; ma un nume adesso.
REG. Basta, basta, signor: la più severa
misurata virtù tentan le lodi
in un labbro sì degno. Io ti son grato
che d'illustrar con l'amor tuo ti piaccia
gli ultimi giorni miei.
MAN. Gli ultimi giorni!
Conservarti io pretendo
lungamente alla patria; e, affinché sia
in tuo favor l'offerto cambio ammesso,
tutto in uso porrò.
REG. Così cominci,
Manlio, ad essermi amico? E che faresti,
se ancor m'odiassi? In questa guisa il frutto
del mio rossor tu mi defraudi. A Roma
io non venni a mostrar le mie catene
per destarla a pietà: venni a salvarla
dal rischio d'un'offerta,
che accettar non si dee. Se non puoi darmi
altri pegni d'amor, torna ad odiarmi.
MAN. Ma il ricusato cambio
produrria la tua morte.
REG. E questo nome
sì terribil risuona
nell'orecchie di Manlio! Io non imparo
oggi che son mortale. Altro il nemico
non mi torrà che quel che tormi in breve
dee la natura; e volontario dono
sarà così quel, che saria fra poco
necessario tributo. Il mondo apprenda
ch'io vissi sol per la mia patria; e, quando
viver più non potei,
resi almen la mia morte utile a lei.
MAN. Oh detti! Oh sensi! Oh fortunato suolo
che tai figli produci! E chi potrebbe
non amarti, signor?
REG. Se amar mi vuoi,
amami da romano. Eccoti i patti
della nostra amistà. Facciamo entrambi
un sacrifizio a Roma; io della vita,
tu dell'amico. È ben ragion che costi
della patria il vantaggio
qualche pena anche a te. Va; ma prometti
che de' consigli miei tu nel Senato
ti farai difensore. A questa legge
sola di Manlio io l'amicizia accetto.
Che rispondi, signor?
MAN. Sì, lo prometto.
REG. Or de' propizi numi
in Manlio amico io riconosco un dono.
MAN. Ah perché fra que' ceppi anch'io non sono!
REG. Non perdiamo i momenti. Ormai raccolti
forse saranno i padri. Alla tua fede
della patria il decoro,
la mia pace abbandono e l'onor mio.
MAN. Addio, gloria del Tebro.
REG. Amico, addio.
MAN. Oh qual fiamma di gloria, d'onore
scorrer sento per tutte le vene,
alma grande, parlando con te!
No, non vive sì timido core,
che in udirti con quelle catene
non cambiasse la sorte d'un re.