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Pietro Metastasio
Attilio Regolo

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Scena settima - Regolo

 

REG. Tu palpiti, o mio cor! Qual nuovo è questo

moto incognito a te? Sfidasti ardito

le tempeste del mar, l'ire di Marte,

d'Africa i mostri orrendi,

ed or tremando il tuo destino attendi!

Ah, n'hai ragion: mai non si vide ancora

in periglio sì grande

la gloria mia. Ma questa gloria, oh dei,

non è dell'alme nostre

un affetto tiranno? Al par d'ogni altro

domar non si dovrebbe? Ah no. De' vili

questo è il linguaggio. Inutilmente nacque

chi sol vive a se stesso: e sol da questo

nobile affetto ad obbliar s'impara

sé per altrui. Quanto ha di ben la terra,

alla gloria si dee. Vendica questa

l'umanità del vergognoso stato

in cui saria senza il desio d'onore;

toglie il senso al dolore,

lo spavento a' perigli,

alla morte il terror; dilata i regni,

le città custodisce; alletta, aduna

seguaci alla virtù; cangia in soavi

i feroci costumi,

e rende l'uomo imitator de' numi.

Per questa... Aimè! Publio ritorna, e parmi

che timido s'avanzi. E ben, che rechi?

Ha deciso il Senato?

qual è la sorte mia?

 

 





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