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Pietro Metastasio Attilio Regolo IntraText CT - Lettura del testo |
PUBLIO Signor... (Che pena
per un figlio è mai questa!)
REG. E taci?
PUBLIO Oh dei!
Esser muto vorrei.
REG. Parla.
PUBLIO Ogni offerta
il Senato ricusa.
REG. Ah dunque ha vinto
il fortunato al fin genio romano!
Grazie agli dei; non ho vissuto in vano.
Amilcare si cerchi. Altro non resta
che far su queste arene:
la grand'opra compii, partir conviene.
PUBLIO Padre infelice!
REG. Ed infelice appelli
chi poté, fin che visse,
alla patria giovar?
PUBLIO La patria adoro,
piango i tuoi lacci.
REG. È servitù la vita;
ciascuno ha i lacci suoi. Chi pianger vuole,
pianger, Publio, dovria
la sorte di chi nasce, e non la mia.
PUBLIO Di quei barbari, o padre,
l'empio furor ti priverà di vita.
REG. E la mia servitù sarà finita.
Addio. Non mi seguir.
PUBLIO Da me ricusi
gli ultimi ancor pietosi uffizi?
REG. Io voglio
altro da te. Mentre a partir m'affretto,
a trattener rimanti
la sconsolata Attilia. Il suo dolore
funesterebbe il mio trionfo. Assai
tenera fu per me. Se forse eccede,
compatiscila, o Publio. Al fin da lei
una viril costanza
pretender non si può. Tu la consiglia;
d'inspirarle proccura
con l'esempio fortezza:
la reggi, la consola; e seco adempi
ogni uffizio di padre. A te la figlia,
te confido a te stesso; e spero... Ah veggo
che indebolir ti vuoi. Maggior costanza
in te credei: l'avrò creduto in vano?
Publio, ah no: sei mio figlio, e sei romano.
Non tradir la bella speme,
che di te donasti a noi:
sul cammin de' grandi eroi
incomincia a comparir.
Fa ch'io lasci un degno erede
degli affetti del mio core;
che di te senza rossore
io mi possa sovvenir.