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Pietro Metastasio
Attilio Regolo

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Scena nona - Publio, Attilia, Barce, Licinio

 

PUBLIO Ah sì, Publio, coraggio: il passo è forte,

ma vincerti convien. Lo chiede il sangue,

che hai nelle vene; il grand'esempio il chiede,

che su gli occhi ti sta. Cedesti a' primi

impeti di natura; or meglio eleggi;

il padre imìta, e l'error tuo correggi.

ATT. Ed è vero, o german?    

BARCE Publio, ed è vero?

PUBLIO Sì: decise il Senato;

Regolo partirà.

ATT. Come!   

BARCE Che dici!

ATT. Dunque ognun mi tradì? 

BARCE           Dunque...        

PUBLIO Or non giova...

BARCE Amilcare, pietà.         

ATT.    Licinio, aiuto.  

AMIL. Più speranza non v'è.

LIC. Tutto è perduto.

ATT. Dov'è Regolo? Io voglio

almen seco partir.        

PUBLIO          Ferma; l'eccesso

del tuo dolor l'offenderebbe.   

ATT. E speri

impedirmi così?           

PUBLIO          Spero che Attilia

torni al fine in se stessa, e si rammenti

che a lei non è permesso...

ATT. Sol che son figlia io mi rammento adesso.

Lasciami.        

PUBLIO          Non sperarlo.  

ATT. Ah parte intanto

il genitor!         

BARCE           Non dubitar ch'ei parta,

finché Amilcare è qui.  

ATT.    Chi mi consiglia?

chi mi soccorre? Amilcare?     

AMIL.             Io mi perdo

fra l'ira e lo stupor.      

ATT. Licinio?  

LIC.     Ancora

dal colpo inaspettato

respirar non poss'io.    

ATT.    Publio?

PUBLIO          Ah germana,

più valor, più costanza. Il fato avverso

come si soffra il genitor ci addìta.

Non è degno di lui chi non l'imìta.

ATT. E tu parli così! tu, che dovresti

i miei trasporti accompagnar gemendo!

Io non t'intendo, o Publio.       

AMIL. Ed io l'intendo.

Barce è la fiamma sua: Barce non parte,

se Regolo non resta; ecco la vera

cagion del suo coraggio.

PUBLIO (Questo pensar di me! Stelle, che oltraggio!)

AMIL. Forse, affinché il Senato

non accettasse il cambio, ei pose in opra

tutta l'arte e l'ingegno.

PUBLIO Il dubbio in ver d'un africano è degno.

AMIL. E pur...

PUBLIO          Taci, e m'ascolta.

Sai che l'arbitro io sono

della sorte di Barce?   

AMIL. Il so. L'ottenne

già dal Senato in dono

la madre tua: questa cedendo al fato,

signor di lei tu rimanesti.          

PUBLIO Or odi

qual uso io fo del mio dominio. Amai

Barce più della vita,

ma non quanto l'onor. So che un tuo pari

creder nol può; ma toglierò ben io

di sì vili sospetti

ogni pretesto alla calunnia altrui.

Barce, liberi sei; parti con lui.

BARCE Numi! Ed è ver?       

AMIL. D'una virtù sì rara...

PUBLIO Come s'ama fra noi, barbaro, impara.

 

 




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