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Pietro Metastasio
Attilio Regolo

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Scena settima - Attilia, Barce

 

ATT. Su, costanza, o mio cor. Deboli affetti,

sgombrate da quest'alma; inaridite

ormai su queste ciglia,

lagrime imbelli. Assai si pianse; assai

si palpitò. La mia virtù natia

sorga al paterno sdegno;

ed Attilia non sia

il ramo sol di sì gran pianta indegno.

BARCE Attilia, è dunque ver? Dunque a dispetto

del popol, del Senato,

degli àuguri, di noi, del mondo intero

Regolo vuol partir?      

ATT.    Sì.

BARCE           Ma che insano

furor?  

ATT. Più di rispetto,

Barce, agli eroi.           

BARCE           Come! del padre approvi

l'ostinato pensier?        

ATT. Del padre adoro

la costante virtù.

BARCE           Virtù che a' ceppi,

che all'ire altrui, che a vergognosa morte

certamente dovrà...     

ATT. Taci. Quei ceppi,

quell'ire, quel morir del padre mio

saran trionfi.    

BARCE E tu n'esulti?  

ATT.    (Oh Dio!)

BARCE Capir non so...          

ATT.    Non può capir chi nacque

in barbaro terren per sua sventura

come al paterno vanto

goda una figlia.

BARCE           E perché piangi intanto?

ATT. Vuol tornar la calma in seno

quando in lagrime si scioglie

quel dolor che la turbò:

come torna il ciel sereno,

quel vapor, che i rai ci toglie,

quando in pioggia si cangiò.

 

 




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