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Pietro Metastasio Attilio Regolo IntraText CT - Lettura del testo |
REG. «Regolo resti!» Ed io l'ascolto! Ed io
creder deggio a me stesso! Una perfidia
si vuol? Si vuole in Roma?
si vuol da me? Quai popoli or produce
questo terren! Sì vergognosi voti
chi formò? chi nudrilli?
Dove sono i nepoti
de' Bruti, de' Fabrizi e de' Camilli?
«Regolo resti!» Ah per qual colpa e quando
meritai l'odio vostro?
LIC. È il nostro amore,
signor, quel che pretende
franger le tue catene.
REG. E senza queste
Regolo che sarà? Queste mi fanno
de' posteri l'esempio,
il rossor de' nemici,
lo splendor della patria: e più non sono,
se di queste mi privo,
che uno schiavo spergiuro e fuggitivo.
LIC. A perfidi giurasti,
giurasti in ceppi; e gli àuguri...
REG. Eh lasciamo
all'Arabo ed al Moro
questi d'infedeltà pretesti indegni.
Roma a' mortali a serbar fede insegni.
LIC. Ma che sarà di Roma,
se perde il padre suo?
REG. Roma rammenti
che il suo padre è mortal; che al fin vacilla
anch'ei sotto l'acciar; che sente al fine
anch'ei le vene inaridir; che ormai
non può versar per lei
né sangue, né sudor; che non gli resta
che finir da romano. Ah m'apre il Cielo
una splendida via: de' giorni miei
possa l'annoso stame
troncar con lode; e mi volete infame!
No, possibil non è: de' miei Romani
conosco il cor. Da Regolo diverso
pensar non può chi respirò nascendo
l'aure del Campidoglio. Ognun di voi
so che nel cor m'applaude;
so che m'invidia e che fra' moti ancora
di quel, che l'ingannò, tenero eccesso,
fa voti al Ciel di poter far l'istesso.
Ah non più debolezza. A terra, a terra
quell'armi inopportune: al mio trionfo
più non tardate il corso,
o amici, o figli, o cittadini. Amico,
favor da voi domando;
esorto, cittadin; padre, comando.
ATT. (Oh Dio! Ciascun già l'ubbidisce).
PUBLIO (Oh Dio!
ecco ogni destra inerme).
LIC. Ecco sgombro il sentier.
REG. Grazie vi rendo,
propizi dei: libero è il passo. Ascendi,
Amilcare, alle navi;
io sieguo i passi tui.
AMIL. (Al fin comincio ad invidiar costui).
REG. Romani, addio. Siano i congedi estremi
degni di noi. Lode agli dei, vi lascio,
e vi lascio Romani. Ah conservate
illibato il gran nome; e voi sarete
gli arbitri della terra; e il mondo intero
roman diventerà. Numi custodi
di quest'almo terren, dee protettrici
della stirpe d'Enea, confido a voi
questo popol d'eroi: sian vostra cura
questo suol, questi tetti e queste mura.
Fate che sempre in esse
la costanza, la fé, la gloria alberghi,
la giustizia, il valore. E, se giammai
minaccia al Campidoglio
alcun astro maligno influssi rei,
ecco Regolo, o dei: Regolo solo
sia la vittima vostra; e si consumi
tutta l'ira del Ciel sul capo mio:
ma Roma illesa... Ah qui si piange! Addio.
CORO DI ROMANI Onor di questa sponda,
padre di Roma, addio.
Degli anni e dell'obblio
noi trionfiam per te.
Ma troppo costa il vanto;
Roma ti perde intanto;
ed ogni età feconda
di Regoli non è.
FINE