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Pietro Metastasio Catone in Utica IntraText CT - Lettura del testo |
SCENA QUARTA
Parte interna delle mura di Utica, con porta della città in prospetto, chiusa da un ponte, che poi si abbassa.
Catone, poi Cesare e Fulvio
CAT. |
Dunque Cesare venga. Io non intendo Qual cagion lo conduca. È inganno? è tema? No, d’un romano in petto Non giunge a tanto ambizion d’impero Che dia ricetto a così vil pensiero. (Cala il ponte, e si vede venir Cesare e Fulvio) |
CES. |
Con cento squadre e cento, A mia difesa armate, in campo aperto Non mi presento a te. Senz’armi e solo, Sicuro di tua fede, Fra le mura nemiche io porto il piede. Tanto Cesare onora La virtù di Catone, emulo ancora. |
CAT. |
Mi conosci abbastanza, onde in fidarti Nulla più del dovere a me rendesti. Di che temer potresti? In Egitto non sei. Qui delle genti Si serba ancor l’universal ragione; Né vi son Tolomei dov’è Catone. |
CES. |
È ver: noto mi sei. Già il tuo gran nome Fin da’ prim’anni a venerare appresi: In cento bocche intesi Della patria chiamarti Padre e sostegno e delle antiche leggi Rigido difensor. Fu poi la sorte Prodiga all’armi mie del suo favore; Ma l’acquisto maggiore, Per cui contento ogni altro acquisto io cedo, È l’amicizia tua: questa ti chiedo. |
FUL. |
E il Senato la chiede: a voi m’invia Nuncio del suo volere. È tempo ormai Che dai privati sdegni La combattuta patria abbia riposo. Scema d’abitatori È già l’Italia afflitta: alle campagne Già mancano i cultori; Manca il ferro agli aratri: in uso d’armi Tutto il furor converte; e, mentre Roma Con le sue mani il proprio sen divide, Gode l’Asia incostante, Africa ride. |
CAT. |
Chi vuol Catone amico, Facilmente l’avrà: sia fido a Roma. |
CES. |
Chi più fido di me? Spargo per lei Il sudor da gran tempo e il sangue mio. Son io quegli, son io, che su gli alpestri Gioghi del Tauro, ov’è più al ciel vicino, Di Marte e di Quirino Fe’ risonar la prima volta il nome. Il gelido Britanno Per me le ignote ancora Romane insegne a venerare apprese. E dal clima remoto Se venni poi... |
CAT. |
Già tutto il resto è noto. Di tue famose imprese Godiamo i frutti, e in ogni parte abbiamo Pegni dell’amor tuo. Dunque mi credi Mal accorto così, ch’io non ravvisi Velato di virtude il tuo disegno? So che il desio di regno, Che il tirannico genio, onde infelici Tanti hai reso fin qui... |
FUL. |
Signor, che dici? Di ricomporre i disuniti affetti Non son queste le vie: di pace io venni, Non di risse ministro. |
CAT. |
E ben, si parli. (Udiam che dir potrà). |
FUL. |
(Tanta virtude Troppo acerbo lo rende). (a Cesare) |
CES. |
(Io l’ammiro però, se ben m’offende). (a Fulvio) Pende il mondo diviso Dal tuo, dal cenno mio: sol che la nostra Amicizia si stringa, il tutto è in pace. Se del sangue latino Qualche pietà pur senti, i sensi miei Placido ascolterai. |