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Pietro Metastasio Catone in Utica IntraText CT - Lettura del testo |
SCENA TREDICESIMA
Emilia e detti.
EMI. |
In mezzo al mio dolore, a parte anch’io Son de’ vostri contenti, illustri sposi. Ecco, acquista in Arbace Il suo vindice Roma; e cresceranno Generosi nemici al mio tiranno. |
ARB. |
Riserba ad altro tempo Gli augùri, Emilia: è ancor sospeso il nodo. |
EMI. |
Si cangiò di pensiero Catone o Marzia? |
ARB. |
Eh! non ha Marzia un core Tanto crudele: ella per me sospira Tutta costanza e fede: Dai guardi suoi, dal suo parlar si vede. |
EMI. |
Dunque il padre mancò. |
ARB. |
Né pur. |
EMI. |
Chi è mai Cagion di tanto indugio? |
MAR. |
Arbace il chiede. |
EMI. |
Tu, prence? |
ARB. |
Io, sì. |
EMI. |
Perché? |
ARB. |
Perché desio Maggior prova d’amor; perché ho diletto Di vederla penare. |
EMI. |
E Marzia il soffre? |
MAR. |
Che posso far? Di chi ben ama è questa La dura legge. |
EMI. |
Io non l’intendo, e parmi Il vostro amore inusitato e nuovo. |
ARB. |
Anch’io poco l’intendo, e pur lo provo.
È in ogni core Diverso amore: Chi pena ed ama Senza speranza; Dell’incostanza Chi si compiace; Questo vuol guerra, Quello vuol pace; V’è fin chi brama La crudeltà. Fra questi miseri Se vivo anch’io, Ah, non deridere L’affanno mio, Ché forse merito La tua pietà! (parte) |