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Pietro Metastasio
Catone in Utica

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SCENA SECONDA

 

Fulvio  e detti.

 

FUL.

Signor, Cesare è giunto.

MAR.

(Torno a sperar).

CAT.

Dov’è?

FUL.

D’Utica appena

Entrò le mura.

ARB.

(Io son di nuovo in pena).

CAT.

Vanne, Fulvio: al suo campo

Digli che rieda. In questo dì non voglio

Trattar di pace.

FUL.

E perché mai?

CAT.

Non rendo

Ragione altrui dell’opre mie.

FUL.

Ma questo,

In ogni altro che in te, mancar saria

Alla pubblica fede.

CAT.

Mancò Cesare prima. Al suo ritorno

L’ora prefissa è scorsa.

FUL.

E tanto esatto

I momenti misuri?

CAT.

Altre cagioni

Vi sono ancora.

FUL.

E qual cagion? Due volte

Cesare in un sol giorno a te sen viene,

E due volte è deluso.

Qual disprezzo è mai questo? Al fin dal volgo

Non si distingue Cesare sì poco,

Che sia lecito altrui prenderlo a gioco.

CAT.

Fulvio, ammiro il tuo zelo: in vero è grande.

Ma un buon roman si accenderebbe meno

A favor d’un tiranno.

FUL.

Un buon romano

Difende il giusto; un buon roman si adopra

Per la pubblica pace, e voi dovreste

Mostrarvi a me più grati. A voi la pace

Più che ad altri bisogna.

CAT.

 

Ove son io,

Pria della pace, e dell’istessa vita,

Si cerca libertà.

 

FUL.

Chi a voi la toglie?

CAT.

Non più. Da queste soglie

Cesare parta. Io farò noto a lui

Quando giovi ascoltarlo.

FUL.

 

In van lo speri.

Sì gran torto non soffro.

 

CAT.

E che farai?

FUL.

Il mio dover.

CAT.

Ma tu chi sei?

FUL.

Son io

Il legato di Roma.

CAT.

E ben, di Roma

Parta il legato.

FUL.

Sì, ma leggi pria

Che contien questo foglio, e chi l’invia. (Fulvia dà a Catone un foglio)

ARB.

(Marzia, perché sì mesta?)

MAR.

(Eh! non scherzar, ché da sperar mi resta). (Catone apre il foglio e legge)

CAT.

‘Il Senato a Catone. È nostra mente

Render la pace al mondo. Ognun di noi,

I consoli, i tribuni, il popol tutto,

Cesare istesso il dittator la vuole.

Servi al pubblico voto; e, se ti opponi

A così giusta brama,

Suo nemico la patria oggi ti chiama.’

FUL.

(Che dirà?)

CAT.

Perché tanto

Celarmi il foglio?

FUL.

Era rispetto.

MAR.

(Arbace,

Perché mesto così?)

ARB.

(Lasciami in pace).

CAT.

‘È nostra mente!... Il dittator la vuole!... (rileggendo da sé)

Servi al pubblico voto!...

Suo nemico la patria!...’ E così scrive

Roma a Catone?

FUL.

Appunto.

CAT.

Io di pensiero

Dovrò dunque cangiarmi?

FUL.

Un tal comando

Improvviso ti giunge.

CAT.

È ver. Tu vanne,

E a Cesare...

FUL.

Dirò che qui l’attendi;

Che ormai più non soggiorni.

CAT.

No; gli dirai che parta e più non torni.

FUL.

Ma come!

MAR.

(Oh Ciel!)

FUL.

Così...

CAT.

Così mi cangio;

Così servo a un tal cenno.

FUL.

E il foglio...

CAT.

È un foglio infame,

Che concepì, che scrisse

Non la ragion, ma la viltade altrui.

FUL.

E il Senato...

CAT.

Il Senato

Non è più quel di pria; di schiavi è fatto

Un vilissimo gregge.

FUL.

E Roma...

CAT.

E Roma

Non sta fra quelle mura. Ella è per tutto,

Dove ancor non è spento

Di gloria e libertà l’amor natio;

Son Roma i fidi miei, Roma son io.

 

Va, ritorna al tuo tiranno,

Servi pure al tuo sovrano,

Ma non dir che sei romano,

Fin che vivi in servitù.

Se al tuo cor non reca affanno

D’un vil giogo ancor lo scorno,

Vergognar faratti un giorno

Qualche resto di virtù. (parte)

 

 

 




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