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Pietro Metastasio
Catone in Utica

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SCENA SESTA

 

Marzia, Emilia e Fulvio

 

EMI.

Lode agli dèi: la fuggitiva speme

A Marzia in sen già ritornar si vede.

FUL.

Ne fa sicura fede

La gioia a noi, che le traspare in volto.

MAR.

Nol niego, Emilia. È stolto

Chi non sente piacer, quando, placato

L’altrui genio guerriero,

Può sperar la sua pace il mondo intero.

EMI.

Nobil pensier, se i pubblici riposi

Di tutti i voti tuoi sono gli oggetti.

Ma spesso avvien che questi

Siano illustri pretesti,

Ond’altri asconda i suoi privati affetti.

MAR.

Credi ciò che a te piace: io spero intanto:

E alla speranza mia

L’alma si fida, e i suoi timori oblia.

EMI.

Or va, di’ che non ami. Assai ti accusa

L’esser credula tanto: è degli amanti

Questo il costume. Io non m’inganno; e pure

La tua lusinga è vana,

E sei da quel che speri assai lontana.

 

MAR.

In che ti offende,

Se l’alma spera,

Se amor l’accende,

Se odiar non sa?

Perché spietata

Pur mi vuoi togliere

Questa sognata

Felicità?

Tu dell’amore

Lascia al cor mio,

Come al tuo core

Lascio ancor io

Tutta dell’odio,

La libertà. (parte)

 

 

 




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