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Pietro Metastasio
Catone in Utica

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SCENA SETTIMA

 

Emilia e Fulvio

 

FUL.

Tu vedi, o bella Emilia,

Che mia colpa non è, s’oggi di pace

Si ritorna a parlar.

EMI.

(Fingiamo). Assai

Fulvio conosco, e quanto oprasti intesi.

So però con qual zelo

Porgesti il foglio, e come

A favor del tiranno

Ragionasti a Catone. Io di tua fede

Non sospetto perciò. L’arte ravviso

Che per giovarmi usasti. Era il tuo fine,

Cred’io, d’aggiunger foco al loro sdegno.

Non è così?

FUL.

Puoi dubitarne?

EMI.

(Indegno!)

FUL.

Ora che pensi?

EMI.

A vendicarmi.

FUL.

E come?

EMI.

Meditai, ma non scelsi.

FUL.

Al braccio mio

Tu promettesti, il sai, l’onor del colpo.

EMI.

E a chi fidar poss’io

Meglio la mia vendetta?

FUL.

Io ti assicuro

Che mancar non saprò.

EMI.

Vedo che senti

Delle sventure mie tutto l’affanno.

FUL.

(Salvo un eroe così).

EMI.

(Così l’inganno).

 

Per te spero, e per te solo

Mi lusingo, mi consolo:

La tua fé, l’amore io vedo.

(Ma non credo a un traditor).

D’appagar lo sdegno mio

Il desio ti leggo in viso.

(Ma ravviso infido il cor). (parte)

 

 

 




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