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Pietro Metastasio Catone in Utica IntraText CT - Lettura del testo |
SCENA QUINTA
Acquedotti antichi, ridotti ad uso di strada sotterranea, che conducono dalla città alla marina,
con porta chiusa da un lato del prospetto.
Marzia sola.
MAR. |
Pur veggo al fine un raggio D’incerta luce infra l’orror di queste Dubbiose vie: ma non ritrovo il varco (guardando attorno) Che al mar conduce. Orma non v’è che possa Additarne il sentier. Mi trema in petto Per tema il cor. L’ombre, il silenzio, il grave Fra questi umidi sassi aere ristretto Peggior de’ rischi miei rendon l’aspetto. Ah, se d’uscir la via Rinvenir non sapessi!... (guardando s’avvede della porta) Eccola. Alquanto L’alma respira. Al lido Si affretti il piè. Ma, s’io non erro, il passo Chiuso mi sembra. Oh Dio! Pur troppo è ver. Chi l’impedì? Si tenti. (torna alla porta) Cedesse almeno. Ah, che m’affanno in vano! Misera! che farò? Per l’orme istesse Tornar conviene. Alla mia fuga il Cielo Altra strada aprirà. Numi, qual sento Di varie voci e di frequenti passi Suono indistinto! Ove n’andrò? Si avanza Il mormorio. Potessi Quel riparo atterrar! Né pur si scuote. (s’appressa di nuovo, e scuote la porta) Dove fuggir? Forza è celarsi. E quando I timori e gli affanni Avran fine una volta, astri tiranni? (si nasconde) |