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Pietro Metastasio
Catone in Utica

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SCENA DODICESIMA

 

Catone ferito, Marzia e detti.

 

CAT.

(a Marzia)

Lasciami, ingrata!

MAR.

Arbace! Emilia!

ARB.

Oh Dio!

Che facesti, o signore?

CAT.

Al mondo, a voi

Ad evitar la servitude insegno.

EMI.

Alla pietosa cura

Cedi de’ tuoi.

ARB.

Pensa ove lasci e come

Una misera figlia.

CAT.

Ah! l’empio nome

Tacete a me: sol questa indegna oscura

La gloria mia.

MAR.

Che crudeltà! Deh, ascolta

I prieghi miei. (a Catone)

CAT.

Taci.

MAR.

(s’inginocchia)

Perdono, o padre

Caro padre, pietà. Questa che bagna

Di lagrime il tuo piede, è pur tua figlia.

Ah! volgi a me le ciglia,

Vedi almen la mia pena;

Guardami una sol volta e poi mi svena.

ARB.

Placati al fine. (a Catone)

CAT.

(a Marzia)

Or senti:

Se vuoi che l’ombra mia vada placata

Al suo fatal soggiorno eterna fede

Giura ad Arbace; e giura

All’oppressore indegno

Della patria e del mondo eterno sdegno.

MAR.

(Morir mi sento).

CAT.

E pensi ancor? Conosco

L’animo avverso. Ah! da costei lontano

Lasciatemi morir.

MAR.

No, padre, ascolta: (s’alza)

Tutto farò. Vuoi che ad Arbace io serbi

Eterna fé? La serberò. Nemica

Di Cesare mi vuoi? Dell’odio mio

Contro lui ti assicuro.

CAT.

Giuralo.

MAR.

(Oh Dio!) Su questa man lo giuro. (prende la mano di Catone e la bacia)

ARB.

Mi fa pietà.

EMI.

(Che cangiamento!)

CAT.

(abbraccia Marzia)

Or vieni

Fra queste braccia, e prendi

Gli ultimi amplessi miei, figlia infelice.

Son padre al fine; e nel momento estremo

Cede a’ moti del sangue

La mia fortezza. Ah, non credea lasciarti

In Africa così!

MAR.

Mi scoppia il core!

ARB.

Oh dèi!

CAT.

(siede)

Marzia, il vigore

Sento mancar... Vacilla il piè... Qual gelo

Mi scorre per le vene! (sviene)

MAR.

Soccorso, Arbace: il genitor già sviene. (si vedono venir Cesare, e Fulvio dal fondo)

ARB.

Non ti avvilir. La tenerezza opprime

Gli spirti suoi.

MAR.

Consiglio, Emilia.

EMI.

Arriva

Cesare a noi.

MAR.

Misera me!

ARB.

Che giorno

È questo mai!

 

 

 




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