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Pietro Metastasio
Demetrio

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SCENA TERZA

 

Cleonice ed Alceste

 

CLEON.

Alceste, assai diverso

È ’l meditar dall’eseguir le imprese.

Finché mi sei presente,

Facile credo il riportar vittoria,

E parmi che l’amor ceda alla gloria.

Ma, quando poi mi trovo

Priva di te, s’indebolisce il core,

E la mia gloria, oh Dio! cede all’amore.

ALC.

Che vuoi dirmi perciò?

CLEON.

Che non poss’io

Viver senza di te. Se Alceste e il regno

Non vuol ch’io goda uniti

Il rigor delle stelle a me funeste,

Si lasci il regno, e non si perda Alceste.

ALC.

Come!

CLEON.

Su queste arene

Rimaner non conviene. Aure più liete

A respirare altrove

Teco verrò.

ALC.

Meco verrai! Ma dove?

Cara, se avessi anch’io,

Sudor degli avi miei, sudditi e trono,

Sarei, più che non sono,

Facile a compiacere il tuo disegno;

Ma i sudditi ed il regno,

Che in retaggio mi diè sorte tiranna,

Son pochi armenti ed una vil capanna.

CLEON.

Nel tuo povero albergo

Quella pace godrò che in regio tetto

Lunge da te questo mio cor non gode.

Là non avrò custode,

Che vegliando assicuri i miei riposi:

Ma i sospetti gelosi

Alle placide notti

Non verranno a recar sonni interrotti.

Non fumeran le mense

Di rari cibi in lucid’oro accolti;

Ma i frutti, ai rami tolti

Di propria man, non porteranno, aspersi

D’incognito veleno,

Sconosciuta la morte in questo seno.

Andrò dal monte al prato,

Ma con Alceste a lato;

Scorrerò le foreste,

Ma sarà meco Alceste. E sempre il sole,

Quando tramonta e l’occidente adorna,

Con te mi lascerà,

Con te mi troverà quando ritorna.

ALC.

Cleonice adorata, in queste ancora

Felicità sognate,

Amabili deliri

D’alma gentil che nell’amore eccede,

Oh come chiaro il tuo bel cor si vede!

Ma son vane lusinghe

D’un acceso desio...

CLEON.

Lusinghe vane!

Di ricusare un regno

Capace non mi credi?

ALC.

E tu capace

Mi credi di soffrirlo? Ah! bisognava

Celar, bella regina,

Meglio la tua virtude, e meno amante

Farmi della tua gloria. Io fra le selve

La tua sorte avvilir? L’anime grandi

Non son prodotte a rimaner sepolte

In languido riposo; ed io sarei

All’Asia debitor di quella pace,

Che fra tante vicende,

Dalla tua man, dalla tua mente attende.

Deh! non perdiamo il frutto

Delle lagrime nostre

E del nostro dolor. Tu fosti, o cara,

Quella che m’insegnasti

Ad amarti così. Gloria sì bella

Merita questa pena. Ai dì futuri

L’istoria passerà de’ nostri amori,

Ma congiunta con quella

Della nostra virtude; e se non lice

A noi vivere uniti

Felicemente infino all’ore estreme,

Vivranno almeno i nostri nomi insieme.

CLEON.

Deh! perché qui raccolta

Tutta l’Asia non è? ché l’Asia tutta

Di quell’amor, che in Cleonice accusa,

Nel tuo parlar ritroveria la scusa.

Io vacillai; ma tu mi rendi, o caro,

La mia virtude, e nella tua favella

Quell’istessa virtù mi par più bella.

Parti; ma prima ammira

Gli effetti in me di tua fortezza. Alceste,

Vedrai come io t’imìto:

Seguimi nella reggia. Il nuovo sposo

Da me saprai. Dell’imeneo reale

Ti voglio spettator.

ALC.

Troppa costanza

Brami da me.

CLEON.

Ci sosterremo insieme,

Emulandoci a gara.

ALC.

Oh Dio! non sai

Il barbaro martìr d’un vero amante,

Che di quel ben, che a lui sperar non lice,

Invidia in altri il possessor felice.

CLEON.

Io so qual pena sia

Quella d’un cor geloso;

Ma penso al tuo riposo:

Fidati pur di me.

Allor che t’abbandono,

Conoscerai chi sono;

E l’esserti infedele

Prova sarà di fé. (parte)

 

 

 




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