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Pietro Metastasio Demofoonte IntraText CT - Lettura del testo |
SCENA QUINTA
Timante e poi Dircea, in bianca veste e coronata di
fiori tra le guardie ed i ministri del tempio.
TIM. |
Gran passo è la mia fuga. Ella mi rende E povero e privato. Il regno e tutte Le paterne ricchezze Io perderò. Ma la consorte e il figlio Voglion di più. Proprio valor non hanno Gli altri beni in se stessi, e li fa grandi La nostra opinion. Ma i dolci affetti E di padre e di sposo hanno i lor fonti Nell’ordine del tutto. Essi non sono Originati in noi Dalla forza dell’uso o dalle prime Idee, di cui bambini altri ci pasce: Già ne ha i semi nell’alma ognun che nasce. Fuggasi pur!... Ma chi s’appressa? È forse Il re: veggo i custodi. Ah! no; vi sono Ancor sacri ministri, e in bianche spoglie Fra lor... misero me! la sposa. Oh Dio! Fermatevi! Dircea, che avvenne? |
DIR. |
Al fine Ecco l’ora fatale, ecco l’estremo Istante ch’io ti veggo. Ah, prence! ah, questo È pur l’amaro passo! |
TIM. |
E come! il padre... |
DIR. |
Mi vuol morta a momenti. |
TIM. |
(volendo snudar la spada) Infin ch’io vivo... |
DIR. |
Signor, che fai? Sol, contro tanti, in vano Difendi me: perdi te stesso. |
TIM. |
È vero. Miglior via prenderò. (volendo partire) |
DIR. |
Dove? |
TIM. |
A raccorre Quanti amici potrò. Va pure. al tempio Sarò prima di te. (come sopra) |
DIR. |
No. Pensa... Oh Dio! |
TIM. |
Non v’è più che pensar. La mia pietade Già diventa furor. Tremi qualunque Oppormisi vorrà: se fosse il padre, Non risparmio delitti. Il ferro, il fuoco Vuo’ che abbatta, consumi La reggia, il tempio, i sacerdoti, i numi. (parte) |