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Pietro Metastasio
Demofoonte

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SCENA QUARTA

 

Timante solo.

 

TIM.

Misero me! Qual gelido torrente

Mi ruina sul cor! Qual nero aspetto

Prende la sorte mia! Tante sventure

Comprendo al fin. Perseguitava il Cielo

Un vietato imeneo. Le chiome in fronte

Mi sento sollevar. Suocero e padre

M’è dunque il re? figlio e nipote Olinto?

Dircea moglie e germana? Ah, qual funesta

Confusion d’opposti nomi è questa!

Fuggi, fuggi, Timante! agli occhi altrui

Non esporti mai più. Ciascuno a dito

Ti mostrerà. Del genitor cadente

Tu sarai la vergogna; e quanto, oh Dio,

Si parlerà di te! Tracia infelice,

Ecco l’Edipo tuo. D’Argo e di Tebe

Le Furie in me tu rinnovar vedrai.

Ah, non t’avessi mai

Conosciuta, Dircea! Moti del sangue

Eran quei ch’io credevo

Violenze d’amor. Che infausto giorno

Fu quel che pria ti vidi! I nostri affetti

Che orribili memorie

Saran per noi! Che mostruoso oggetto

A me stesso io divengo! Odio la luce;

Ogni aura mi spaventa; al piè tremante

Parmi che manchi il suol; strider mi sento

Cento folgori intorno; e leggo, oh Dio!

Scolpito in ogni sasso il fallo mio.

 

 

 




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