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Pietro Metastasio
Demofoonte

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SCENA UNDICESIMA

 

Demofoonte con séguito, e detti.

 

DEM.

Non t’ingannan, Timante: è vero, è vero.

TIM.

Se mi tradiste adesso,

Sarebbe crudeltà.

DEM.

Ti rassicura;

No, mio figlio non sei. Tu con Dircea

Fosti cambiato in fasce. Ella è mia prole,

Tu di Matusio. Alla di lui consorte

La mia ti chiese in dono. Utile al regno

Il cambio allor credé; ma, quando poi

Nacque Cherinto, al proprio figlio il trono

D’aver tolto s’avvide, e a me l’arcano

Non ardì palesar, che troppo amante

Già di te mi conobbe. All’ore estreme

Ridotta al fin, tutto in due fogli il caso

Scritto lasciò. L’un diè all’amica, e quello

Matusio ti mostrò: l’altro nascose,

Ed è questo che vedi.

TIM.

E perché tutto

Nel primo non spiegò?

DEM.

Solo a Dircea

Lasciò in quello una prova

Del regio suo natal. Bastò per questo

Giurar ch’era sua figlia. Il gran segreto

Della vera tua sorte era un arcano

Da non fidar che a me, perch’io potessi,

A seconda de’ casi,

Palesarlo o tacerlo. A tale oggetto

Celò quest’altro foglio in parte solo

Accessibile a me.

TIM.

Sì strani eventi

Mi fanno dubitar.

DEM.

Troppo son certe

Le prove, i segni. Eccoti il foglio, in cui

Di quanto ti narrai la serie è accolta.

TIM.

Non deludermi, o sorte, un’altra volta. (prende il foglio e legge fra sé)

 

 

 




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