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Pietro Metastasio Ezio IntraText CT - Lettura del testo |
SCENA TERZA
Ezio, Massimo e poi Fulvia con paggi ed alcuni schiavi.
MASS. |
Ezio, donasti assai Alla gloria e al dover: qualche momento Concedi all’amistà: lascia ch’io stringa Quella man vincitrice. (Massimo prende per mano Ezio) |
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EZIO |
Io godo, amico, Nel rivederti, e caro M’è l’amor tuo de’ miei trionfi al paro. Ma Fulvia ove si cela? Che fa? Dov’è? Quando ciascun s’affretta Su le mie pompe ad appagar le ciglia, La tua figlia non viene? |
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MASS. |
Ecco la figlia. |
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EZIO |
Cara, di te più degno (a Fulvia, nell’uscire) Torna il tuo sposo, e al volto tuo gran parte Deve de’ suoi trofei. Fra l’armi e l’ire Mi fu sprone egualmente E la gloria e l’amor: né vinto avrei, Se premio a’ miei sudori Erano solo i trionfali allori. Ma come! A’ dolci nomi E di sposo e d’amante Ti veggo impallidir! Dopo la nostra Lontananza crudel, così m’accogli? Mi consoli così? |
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FUL |
(Che pena!) Io vengo... Signor... |
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EZIO |
Tanto rispetto, Fulvia, con me! Perché non dir «mio fido»? Perché «sposo» non dirmi? Ah! tu non sei Per me quella che fosti. |
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FUL. |
Oh Dio! son quella; Ma senti... Ah! genitor, per me favella. |
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EZIO |
Massimo, non tacer. |
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MASS. |
Tacqui fin ora, Perché co’ nostri mali a te non volli Le gioie avvelenar. Si vive, amico, Sotto un giogo crudel. Anche i pensieri Imparano a servir. La tua vittoria, Ezio, ci toglie alle straniere offese: Le domestiche accresce. Era il timore In qualche parte almeno A Cesare di freno: or che vincesti, I popoli dovranno Più superbo soffrirlo e più tiranno. |
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EZIO |
Io tal nol credo. Almeno La tirannide sua mi fu nascosa. Che pretende? Che vuol? |
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MASS. |
Vuol la tua sposa. |
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EZIO |
La sposa mia! Massimo, Fulvia, e voi Consentite a tradirmi? |
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FUL. |
Aimè! |
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MASS. |
Qual arte, Qual consiglio adoprar? Vuoi che l’esponga, Negandola al suo trono, D’un tiranno al piacer? Vuoi che su l’orme Di Virginio io rinnovi, Per serbarla pudica, L’esempio in lei della tragedia antica? Ah! tu solo potresti Frangere i nostri ceppi, Vendicare i tuoi torti. Arbitro sei Del popolo e dell’armi. A Roma oppressa. All’amor tuo tradito Dovresti una vendetta. Al fin tu sai Che non si svena al Cielo Vittima più gradita D’un empio re. |
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EZIO |
Che dici mai! L’affanno Vince la tua virtù. Giudice ingiusto Delle cose è il dolor. Sono i monarchi Arbitri della terra; Di loro è il Cielo. Ogni altra via si tenti, Ma non l’infedeltade. |
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MASS. |
(abbraccia Ezio) |
Anima grande, |
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Al par del tuo valore Ammiro la tua fé, che più costante Nelle offese diviene. (Cangiar favella e simular conviene). |
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FUL. |
Ezio così tranquillo La sua Fulvia abbandona ad altri in braccio? |
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EZIO |
Tu sei pur d’ogni laccio Disciolta ancora. Io parlerò. Vedrai Tutto cangiar d’aspetto. |
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FUL. |
Oh Dio! se parli, Temo per te. |
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EZIO |
L’imperator fin ora Dunque non sa ch’io t’amo? |
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MASS. |
Il vostro amore Per tema io gli celai. |
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EZIO |
Questo è l’errore. Cesare non ha colpa. Al nome mio Avria cangiato affetto. Egli conosce Quanto mi deve, e sa ch’opra da saggio L’irritarmi non è. |
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FUL. |
Tanto ti fidi? Ezio, mille timori Mi turban l’alma. È troppo amante Augusto: Troppo ardente tu sei. Rifletti, oh Dio! Pria di parlar. Qualche funesto evento Mi presagisce il cor. Nacqui infelice, E sperar non mi lice Che la sorte per me giammai si cangi. |
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EZIO |
Son vincitor, sai che t’adoro, e piangi?
Pensa a serbarmi, o cara, I dolci affetti tuoi: Amami, e lascia poi Ogni altra cura a me. Tu mi vuoi dir col pianto Che resti in abbandono: No, così vil non sono, E meco ingrato tanto No, Cesare non è. (parte) |