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Pietro Metastasio Ezio IntraText CT - Lettura del testo |
SCENA OTTAVA
Valentiniano e Massimo
VAL. |
Ezio sappia ch’io bramo Seco parlar; che qui l’attendo. (ad una comparsa che, ricevuto l’ordine, parte) Amico, Comincia ad adombrarmi La gloria di costui. Ciascun mi parla Delle conquiste sue: Roma lo chiama Il suo liberatore: egli se stesso Troppo conosce. Assicurarmi io deggio Della sua fedeltà. Voglio d’Onoria Al talamo innalzarlo, acciò che sia Suo premio il nodo e sicurezza mia. |
MASS. |
Veramente per lui giunge all’eccesso L’idolatria del volgo. Omai si scorda Quasi del suo sovrano, E un suo cenno potria... Basta: credo che sia Ezio fedele, e il dubitarne è vano: Se però tal non fosse, a me parrebbe Mal sicuro riparo Tanto innalzarlo. |
VAL. |
Un sì gran dono ammorza L’ambizion d’un’alma. |
MASS. |
Anzi l’accende. Quando è vasto l’incendio, è l’onda istessa Alimento alla fiamma. |
VAL. |
E come io spero Sicurezza miglior? Vuoi ch’io m’impegni Su l’orme de’ tiranni, e ch’io divenga All’odio universale oggetto e segno? |
MASS. |
La prima arte del regno È il soffrir l’odio altrui. Giova al regnante Più l’odio che l’amor. Con chi l’offende Ha più ragion d’esercitar l’impero. |
VAL. |
Massimo, non è vero. Chi fa troppo temersi Teme l’altrui timor. Tutti gli estremi Confinano fra loro. Un dì potrebbe Il volgo contumace Per soverchio timor rendersi audace. |
MASS. |
Signor, meglio d’ogni altro Sai l’arte di regnare. Hanno i monarchi Un lume ignoto a noi. Parlai fin ora Per zelo sol del tuo riposo, e volli Rammentar che si deve Ad un periglio opporsi infin che è lieve.
Se povero il ruscello Mormora lento e basso, Un ramoscello, un sasso Quasi arrestar lo fa. Ma se alle sponde poi Gonfio d’umor sovrasta, Argine oppor non basta, E co’ ripari suoi Torbido al mar sen va. (parte) |