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Pietro Metastasio
Ezio

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SCENA NONA

 

Valentiniano, poi Ezio

 

VAL.

Del Ciel felice dono

Sembra il regno a chi sta lunge dal trono;

Ma sembra il trono istesso

Dono infelice a chi gli sta d’appresso.

EZIO

Eccomi al cenno tuo.

VAL.

Duce, un momento

Non posso tollerar d’esserti ingrato.

Il Tebro vendicato,

La mia grandezza, il mio riposo è tutto

Del senno tuo, del tuo valore è frutto.

Se prodigo ti sono

Anche del soglio mio, rendo e non dono:

Onde, in tanta ricchezza, allor che bramo

Ricompensare un vincitore amico,

Trovo (chi ‘l crederia?) ch’io son mendico.

EZIO

Signor, quando fra l’armi

A pro di Roma, a pro di te sudai,

Nell’opra istessa io la mercé trovai.

Che mi resta a bramar? L’amor d’Augusto

Quando ottener poss’io,

Basta questo al mio cor.

VAL.

Non basta al mio.

Vuo’ che il mondo conosca

Che, se premiarti appieno

Cesare non poté, tentollo almeno.

Ezio, il cesareo sangue

S’unisca al tuo. D’affetto

Darti pegno maggior non posso mai.

Sposo d’Onoria al nuovo dì sarai.

EZIO

(Che ascolto!)

VAL.

Non rispondi?

EZIO

Onor sì grande

Mi sorprende a ragion. D’Onoria il grado

Chiede un re, chiede un trono:

Ed io regni non ho, suddito io sono.

VAL.

Ma un suddito tuo pari

È maggior d’ogni re. Se non possiedi,

Tu doni i regni; e il possederli è caso,

Il donarli è virtù.

EZIO

La tua germana,

Signor, deve alla terra

Progenie di monarchi; e meco unita

Vassalli produrrà. Sai che con questi

Ineguali imenei

Ella a me scende, io non m’innalzo a lei.

VAL.

Il mondo e la germana

Nell’illustre imeneo punto non perde:

E, se perdesse ancor, quando all’imprese

D’un eroe corrispondo,

Non può lagnarsi e la germana e il mondo.

EZIO

No, consentir non deggio

Che comparisca Augusto,

Per esser grato ad uno, a tanti ingiusto.

VAL.

Duce, fra noi si parli

Con franchezza una volta. Il tuo rispetto

È un pretesto al rifiuto. Al fin che brami?

Forse è picciolo il dono? o vuoi per sempre

Cesare debitor? Superbo al paro

Di chi troppo richiede

È colui che ricusa ogni mercede.

EZIO

E ben, la tua franchezza

Sia d’esempio alla mia. Signor, tu credi

Premiarmi, e mi punisci.

VAL.

Io non sapea

Che a te fosse castigo

Una sposa germana al tuo regnante.

EZIO

Non è gran premio a chi d’un’altra è amante.

VAL.

Dov’è questa beltà che tanto indietro

Lascia il merto d’Onoria? È a me soggetta?

Onora i regni miei? Stringer vogl’io

Queste illustri catene.

Spiegami il nome suo.

EZIO

Fulvia è il mio bene.

VAL.

Fulvia!

EZIO

Appunto. (Si turba).

VAL.

(Oh sorte!) Ed ella

Sa l’amor tuo?

EZIO

Nol credo.

(Contro lei non s’irrìti).

VAL.

Il suo consenso

Prima ottener procura:

Vedi se tel contrasta.

EZIO

Quello sarà mia cura: il tuo mi basta.

VAL.

Ma potrebbe altro amante

Ragione aver sopra gli affetti suoi.

EZIO

Dubitarne non puoi. Dov’è chi ardisca

Involar temerario una mercede

Alla man che di Roma il giogo scosse?

Costui non veggo.

VAL.

E se costui vi fosse?

EZIO

Vedria ch’Ezio difende

Gli affetti suoi, come gl’imperi altrui:

Temer dovrebbe...

VAL.

E se foss’io costui?

EZIO

Saria più grande il dono,

Se costasse uno sforzo al cor d’Augusto.

VAL.

Ma non chiede un vassallo al suo sovrano

Uno sforzo in mercede.

EZIO

Ma Cesare è il sovrano: Ezio lo chiede.

Ezio che fin ad ora

Senza premio servì: Cesare, a cui

È noto il suo dover, che i suoi riposi

Sa che gode per me, che al voler mio,

Quando il soglio abbandona,

Sa che rende e non dona, e che un momento

Non prova fortunato

Per tema sol di comparirmi ingrato.

VAL.

(Temerario!) Credea,

Nel rammentare io stesso i merti tuoi,

Di scemartene il peso.

EZIO

Io li rammento

Quando in premio pretendo...

VAL.

Non più: dicesti assai; tutto comprendo.

 

So chi t’accese:

Basta per ora.

Cesare intese:

Risolverà

Ma tu procura

D’esser più saggio.

Fra l’armi e l’ire

Giova il coraggio:

Pompa d’ardire

Qui non si fa. (parte)

 

 

 




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