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Pietro Metastasio
Ipermestra

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SCENA NONA

 

Linceo e detti.

 

DAN.

Ad un sì dolce invito (a Linceo)

Vien sì pigro Linceo? Tanto s’affretta

A meritar mercede,

Sì poco a conseguirla?

LIN.

I miei sudori,

Le cure mie, la servitù costante,

Tutto il sangue ch’io sparsi

Sotto i vessilli tuoi, della mercede,

Signor, ch’oggi mi dài, degni non sono:

Sol corrisponde al donatore il dono.

DAN.

(Doppio parlar!)

LIN.

(Par che mirarmi, oh Dio!

Sdegni Ipermestra).

IPER.

(Ah, che tormento è il mio!)

DAN.

Io sperai di vederti

Oggi più lieto, o prence.

LIN.

Anch’io sperai...

Ma... poi...

DAN.

Perché sospiri?

Qual disastro t’affligge?

LIN.

Nol so.

DAN.

Come! nol sai?

LIN.

Signor...

DAN.

Palesa

L’affanno tuo: voglio saper qual sia.

LIN.

Ipermestra può dirlo in vece mia.

IPER.

Ma concedi ch’io parta. (a Danao)

DAN.

No, tempo è di parlar. Dirmi tu déi

Quel che tace Linceo.

IPER.

(impaziente)

Ma... padre...

DAN.

Ah! veggo

Quanto poco degg’io

Da una figlia sperar. Conosco, ingrata...

LIN.

Ah! non sdegnarti seco,

Signor, per me: non merita Linceo

D’Ipermestra il dolor. Da sé mi scacci,

Sdegni gli affetti miei, m’odii, mi fugga,

Mi riduca a morir; tutto per lei,

Tutto voglio soffrir; ma non mi sento

Per vederla oltraggiar forze bastanti.

IPER.

(Che fido amor! che sfortunati amanti!)

DAN.

Il dubitar che possa

Ipermestra sdegnar gli affetti tuoi,

Prence, è folle pensiero:

Non crederlo.

LIN.

Ah, mio re, pur troppo è vero!

DAN.

Non so veder per qual ragion dovrebbe

Cangiar così.

LIN.

Pur si cangiò.

DAN.

Ne sai

Tu la cagion?

LIN.

Volesse il Ciel! Mi scaccia

Senza dirmi perché: questo è l’affanno

Ond’io gemo, ond’io smanio, ond’io deliro.

IPER.

(Mi fa pietà).

DAN.

(Nulla ei scoprì: respiro).

LIN.

Deh! principessa amata,

Se veder non mi vuoi

Disperato morir, dimmi qual sia

Almen la colpa mia.

IPER.

(Potessi in parte

Consolar l’infelice!)

DAN.

(In lei pavento

Il troppo amor).

LIN.

Bella mia fiamma, ascolta.

Giuro a tutti gli dèi,

Lo giuro a te, che sei

Il mio nume maggior, nulla io commisi,

Colpa io non ho. Se volontario errai,

Voglio su gli occhi tuoi

Con questo istesso acciar, con questa destra

Voglio passarmi il cor.

IPER.

(a Linceo)

Prence...

DAN.

(temendo che parli)

Ipermestra!

IPER.

Oh Dio!

LIN.

Parla.

DAN.

Rammenta

Il tuo dover.

IPER.

(Che crudeltà! Non posso

Né parlar né tacer).

LIN.

Né m’è concesso

Di saper, mia speranza...

IPER.

Ma qual è la costanza,

Che durar possa a questi assalti? Al fine

Non ho di sasso il petto; e, s’io l’avessi,

Al dolor che m’accora,

Già sarebbe spezzato un sasso ancora.

E che vi feci, o dèi? perché a mio danno

Insolite inventate

Sorti di pene? Ha il suo confin prescritto

La virtù de’ mortali. Astri tiranni,

O datemi più forza, o meno affanni!

DAN.

Che smania intempestiva!

LIN.

Qual ignoto dolor, bella mia face?...

IPER.

Ah! lasciatemi in pace;

Ah! da me che volete?

Io mi sento morir: voi m’uccidete.

 

Se pietà da voi non trovo

Al tiranno affianno mio,

Dove mai cercar poss’io,

Da chi mai sperar pietà?

Ah! per me, dell’empie sfere

Al tenor barbaro e nuovo,

Ogni tenero dovere

Si converte in crudeltà. (parte)

 

 

 




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