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Pietro Metastasio
Lettere

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24 - A LUIGI DI CANALE - VIENNA

 

Czakathurn, 13 ottobre 1741.

 

La felicità del nostro comodissimo viaggio, la sibaritica lussuria del nostro soggiorno, la salute e la tranquillità che godiamo in quest'isola incantata già vi saranno note, veneratissimo mio signor conte, e per le lettere di monsignor nunzio e per quelle del signor marchese Bartolommei, onde sarà bene di trascurarne la repetizione, e di risparmiare in tal guisa qualche senso peccaminoso d'invidia alla vostra delicatissima conscienza. È vero che

 

mentre d'intorno

d'alto incendio di guerra arde il paese,

noi ce ne stiamo in placido soggiorno,

senza temer le militari offese,

 

ma pure questo beneficio ha la sua punizione, ed è la mancanza di notizie. Non già delle pubbliche (perché questa non saprei se vada fra' difetti o fra le prerogative del nostro ritiro), ma bensì delle private, e di quelle che specialmente riguardano le persone più stimate e più care. Io lasciai partendo da Presburgo la vostra stimabilissima persona con un catarro (per altro meritato con una corsa in sedia scoperta), e sono sollecitissimo d'assicurarmi che sia stato pienamente superato, come spero. La degnissima signora contessa era in procinto d'arricchir la terra di nuovi Canali, e sono impazientissimo di sapere se l'abbia valorosamente fatto: e con quella felicità ch'io le augurava. Di me non vi figurate cosa alcuna di lodevole. Son divenuto più pigro che mai, e così in nihil agendo occupato che a gran fatica ho rubato il momento per scrivere questa lettera. Egli è vero che la stagione è bellissima, e noi aspettando di giorno in giorno l'arrivo dell'imminente inverno, procuriamo con somma diligenza di ritrarre tutto il profitto possibile da questo deliziosissimo autunno. Ho fatto proponimento d'esser uomo di garbo ne' mesi freddi: vedrete allora le belle cose ch'io vi scriverò, e come il nostro Giovenale sarà trattato. Intanto per tutti i disegni del caro Bertoli vi scongiuro a non corrucciarvi meco, ed a trattarmi come il vostro Orazio vuol si trattin gli amici chiudendo gli occhi a' loro difetti, o cambiando lor nome: Strabonem appellat paetum pater.

            La nostra generosa benefattrice mi ha commesso di dirvi tante cose in suo nome, e tante altre mi ha imposto di pregarvi che diciate alla signora contessa Canale ch'io non so donde incominciare. Non saprei esprimervi la sua impazienza di saper vostre nuove e quanto le sia sensibile questa divisione ch'ella non può figurarsi sì corta come vorrebbe.

Chi sa se vi sarete rammentato di attestare al signor ambasciatore di Venezia ch'io procurai di far loro riverenza partendo da Presburgo? Se non volete una satira in lode fatelo almeno adesso, adornando quest'atto del mio dovuto ossequio con la vostra incomparabile energia.

La carta finisce e la posta pure, onde abbracciandovi con quella tenerezza che la bontà vostra permette al mio vero rispetto vi prego ad amarmi ed a credermi.

 

 




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