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Pietro Metastasio Lettere IntraText CT - Lettura del testo |
32 - A FRANCESCO ALGAROTTI - BERLINO
Vienna 13 maggio 1747.
Mi ha ben fuor di misura consolato la dolcissima vostra lettera del dì 28 dello scorso aprile da Potsdam con le liete novelle ch'ella mi reca, ma non mi ha punto sorpreso. Il mio socratico demone mi avea già fatto pregustare tutto il dolce delle vostre allor future vicende, e ciò fin dal dì che vi piacque di comunicarmi l'idea e gli stimoli di quel viaggio che, differito poi per cagioni a me ignote, avete pur finalmente ridotto ad effetto. Non credo necessario mettermi in ispesa per esagerarvi il mio contento: voi sottile investigatore del cuor degli uomini, e già da lungo tempo pacifico possessore del mio, ne conoscete ogni moto senza che io ve l'accenni. Dirovvi solo, ch'io sono oltremodo superbo che gli antichi miei sentimenti a riguardo del merito vostro vengano ora solennemente approvati dalle pubbliche e magnifiche decisioni di giudice così grande e così illuminato, e ch'io numero fra i fortunati eventi della nostra Patria felice l'esser voi stato eletto a sostenere nel settentrione il decoro delle nostre Muse italiane.
Né quando prima lessi l'ultima vostra lettera in versi, né quando poi replicatamente la considerai, riconobbi l'espressione di Dante, e me ne so buon grado; poiché a dispetto di tutta la mia libertà di pensare, il peso di tanta autorità avrebbe per avventura potuto sedurre il mio giudizio. Or poiché non v'è più tempo di affettar modestia, protesto francamente che né Dante né Omero medesimo né tutta la poetica famiglia farà mai piacermi quella metafora, delle mani del cielo e della terra. La metafora, a creder mio, dee condurre l'intelletto al positivo per la via di qualche viva e bella immagine, e la povera mia fantasia è miseramente confusa quando intraprende d'attribuir le mani al Cielo ed alla Terra, ed il mio intelletto suda a dedurre da una immagine così enorme il nudo senso dello scrittore. Ma voi non siete nel caso però d'esser ripreso, non essendo voi né inventore né imitatore di tale espressione, come io nel principio ho falsamente creduto. Veggo che il vostro oggetto è stato unicamente il nominar l'opera di Dante com'è piaciuto nominarla a lui. Or per mia sicurtà, s'io pensassi come voi pensate, avrei almeno gran cura d'informare i lettori di non esser io il fabbro di tale espressione, e scrivendola con diverso carattere ed accennando in margine il luogo. Già sapete ch'io sono seccaggine, ma poiché voi mi amate anche tale, non ho stimoli per correggermi.
La nostra degnissima contessa d'Althann, quanto più grata alla vostra gentil memoria, tanto memore de' pregi vostri, mi commette di congratularmi con esso voi a nome suo di questo incamminamento de' suoi presagi. Il conte di Canale vi darà conto con sue lettere del giusto pregio in cui tiene e voi e le cose vostre. Continuate ad amarmi, che io sarò fin ch'io viva veracemente.