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Pietro Metastasio Lettere IntraText CT - Lettura del testo |
XLIII
AD ADAMO FILIPPO LOSY - VIENNA
Vienna 1749.
Eccole, veneratissimo signor conte, l'Attilio Regolo, non so se la più popolare, ma la più solida certamente e la meno imperfetta di tutte le opere mie.
Alla fine l'impazienza d'ubbidire all'augusto clementissimo comando che si degnò Vostra Eccellenza comunicarmi, secondata nello scorso autunno dalla ridente stagione, ha vinte le crudeli repugnanze del mio capo, il quale da qualche tempo in qua par che voglia vendicarsi dell'abuso ch'io n'ho fatto nella mia gioventù. È per altro vero che io non sono più, lode al Cielo, nel deplorabile stato, in cui per tanti e tanti mesi mi son veduto, di non poter reggermi in piedi senza timor di non cadere; di non trovarmi abile alla fissazione che bisogna per una lettera d'una picciola pagina, senza cagionare una trepidazione universale in tutti i nervi di questa mia imperfetta macchinetta, e particolarmente di que' del capo, con sintomi così funesti, che mi han fatto mille volte credere d'essere all'estremo termine della mia peregrinazione. Il tempo, non già l'enorme quantità de' rimedi inutilmente usati, veggo che va ricomponendo questo tormentoso disordine; ma con lentezza così maligna, che per avvedermene ho bisogno di far sempre comparazione delle circostanze del passato con quelle del presente mio stato, come succede nell'indice d'un orologio, di cui è visibile il progresso e insensibile il moto. Ma ora, grazie a Dio, non m'inganno; gli assalti sono certamente più rari e meno efficaci, onde il miglioramento già conseguito mi autorizza a sperare ch'abbia una volta a terminare il noioso periodo di questa indisposizione; periodo, per mia disgrazia, di quelli di cancelleria, ne' quali si perde il fiato prima di raggiungere il verbo. Ho tentato più d'una volta d'approfittarmi degl'intervalli tranquilli; ma la violenta fissazione, della quale o per debolezza del mio talento o per necessità dell'arte io ho bisogno al mio mestiere, mi richiama subito alla testa un concorso tumultuoso di spiriti che incomincia infiammandomi il viso, procede turbandomi la vista e finisce togliendomi la facoltà di pensare, non che di produrre. E poi Vostra Eccellenza sa bene quanto è difficile che possa riuscir buona un'opera fatta per intervalli: interrompono questi la connessione delle idee, delle quali altre intanto si sfigurano, altre svaniscono affatto. Un'opera, perché possa sperarsene bene, deve essere gettata tutta in un tratto, come i cannoni e le campane, altrimenti non sarà mai cosa intera e vi resterà sempre la deformità delle commessure. Supplico l'Eccellenza Vostra a proteggere nelle occasioni queste verità, delle quali io spero sufficiente mallevadore tutto il tenore della mia vita. La semplicità e l'inavvertenza d'alcuno potrebbe rappresentarle svantaggiosamente per me, ed io non sarei più capace di consolazione se, dopo ormai vent'anni della più esatta e più fedele servitù, la disgrazia ch'io soffro in salute in vece di procurarmi il compatimento de' clementissimi miei sovrani me ne alienasse la benefica propensione. E col solito dovuto rispetto sono.