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Pietro Metastasio
Lettere

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LVIII

 

A CARLO BATTHYANY - VIENNA

 

Vienna [novembre] 1752.

 

Per eseguire i venerati ordini dell'Eccellenza Vostra eccomi a comunicar brevemente ciò ch'io penso intorno al metodo da tenersi per procurar l'intelligenza e l'uso della lingua italiana al serenissimo arciduca Giuseppe, sottoponendo i miei lumi a quelli dell'Eccellenza Vostra e senza eccesso di modestia, poiché tutti i vantaggi che possono essere dal canto mio come tolerabile esecutore, non mi autorizzano a decidere come metodico maestro, categoria molto differente da quella, nella quale mi han situato gli studi miei.

Io credo dunque in primo luogo che non solo le arti tutte, ma che le virtù medesime si debbano comunicare più per la via della pratica che della teoria. E, a riguardo particolarmente delle lingue, odio come un abuso e dannoso e crudele il caricare il povero principiante d'un fascio enorme di regole e d'eccezioni, le quali, in vece di procurargli la copia delle parole e di fornirlo di facilità a parlare ed intendere, debbano per necessità inspirargli avversione e rincrescimento, e fargli perdere la speranza di venir mai a capo d'impresa tanto difficile. Chi aspira ad essere autore è necessario che, dopo imparata la lingua, ne studi esattamente le regole e le ultime differenze; ma chi non si propone che la facilità di spiegarsi e d'intendere, non deve aver alcuna cura particolare delle regole, se non di quelle più generali e sicure, che in occasione di parlare o di leggere gli andrà per modo di discorso comunicando il prudente e discreto maestro.

In secondo luogo io non reputo cosa convenevole che un principe, obbligato dal suo grado a tanti studi così necessari come severi, senta addossarsene un altro: onde mi piacerebbe che questo della lingua italiana perdesse affatto per lui la fisonomia di studio, e che adottasse all'incontro, quanto è possibile, quella di divertimento e di riposo. In conseguenza di questi principii io bramerei che il maestro incominciasse dal comunicare al principe le pochissime cose necessarie ad osservarsi intorno alla pronunzia, per metterlo subito in istato di poter leggere. La pronunzia italiana conviene in tal guisa con la latina, e differisce così poco dalla buona pronunzia tedesca, che il farne osservare le picciole differenze è opera di pochi momenti.

È inevitabile dopo di questo il dare un'idea all'ingrosso de' nomi e de' verbi; ma essendo egualmente necessario di non aggravare il principe del noioso peso d'imparare a memoria, io terrei il cammino seguente.

In quanto a nomi, conservando nell'italiano sempre la medesima terminazione in tutti i casi, non v'è bisogno che di fargli osservare l'articolo che gli distingue e il cambiamento che fanno nel numero dei più. E, senza fermarsi affatto in questa considerazione, la sola lettura di due giorni lo renderà peritissimo di ciò che bisogna su tal proposito.

A riguardo de' verbi che abbondano di tante e così diverse inflessioni, io loderei che il maestro incominciasse costantemente ogni giorno la sua lezione dal far leggere ad alta voce due o tre volte uno de' medesimi, in tutti i suoi modi e tempi diversi, e spererei che quel meccanico non interrotto esercizio dell'occhio e dell'orecchio, assistito da' continui esempi che s'incontrano nel leggere e nel parlare, dovesse provvedere il principe di tutta la franchezza necessaria nei vari usi de' verbi suddetti, senza essersi sottoposto al noioso lavoro d'impararli a memoria.

Per dare un ordine a questo esercizio incomincerei dai due verbi ausiliari essere ed avere; passerei quindi alle quattro coniugazioni regolari, e terminerei co' verbi irregolari e difettivi.

Dovendo essere il primo oggetto del principe il parlare e l'intendere coloro che avran la sorte di parlar seco, io non approverei che le sue prime letture fossero di libri gravi ed eleganti, come di teorie di scienze o d'altra somigliante materia. Tutti gli autori, aspirando alla lode di eccellenti scrittori, si vagliono ne' libri loro di frasi e di parole che riescono nel parlar comune troppo ricercate, poco intese e qualche volta ridicole, e sfuggono all'incontro l'espressioni che sono comunemente in commercio. Di modo che caricano la memoria dello scolare di cose per allora inutili o dannose, e non lo provvedono di quelle delle quali ha prontamente bisogno. Loderei però moltissimo che la prima lettura del principe fosse di dialoghetti familiari, de' quali si trova copia sufficiente. E questa, per non breve tratto di tempo continuata e replicata, lo fornirà delle parole, delle frasi e de' modi di dire che sono familiarmente in commercio fra le persone più colte; non lo aggraveranno intempestivamente di quella merce che serve al fasto degli scrittori, e lo metteranno sollecitamente in istato di spiegar le sue idee con nobiltà, che non si risenta della ricerca e dell'affettazione. Questa lettura somministrerà frequenti occasioni al maestro di far osservare al principe la differenza delle espressioni che convengono all'elevato suo grado da quelle che sono permesse al comune degli uomini, e delle varie maniere delle quali è decente ch'egli si vaglia, a proporzione delle varie condizioni delle persone o più distinte o più basse con le quali ei ragioni.

Quando abbia il principe acquistata per questo cammino una conveniente facilità di spiegarsi, stimerei molto utile l'introdurlo alla lettura di qualche libro di materia lieta e curiosa, ma eviterei da bel principio tutti gli originali italiani. Il genio latino, che questa lingua ha fedelmente conservato, non soffre la concisa e chiara per altro semplicità francese, che spiega per lo più separatamente le concepite idee ad una per una; ma vuole che di molte insieme artifiziosamente raccolte se ne componga spesso una sola, operazione che non può eseguirsi senza lunghi periodi e prolisse sospensioni, e che quanto giova all'armonia, alla grandezza e alla nobiltà dello stile altrettanto nuoce all'intelligenza di qualunque principiante straniero. Farei precedere per questa ragione alla lettura degli originali italiani quella di alcun libro tradotto dall'idioma francese, avvertendo per altro che la traduzione proposta non sia di quelle che conservano con troppa fedeltà il gallicismo. Familiarizzato per questo mezzo il principe con lo stile di qualche autore che non lo disanimi, passerà senza dubbio con molta maggiore facilità alla lettura degli storici, degli oratori e finalmente de' poeti italiani. Benché non debba il principe proporsi per oggetto di divenire scrittore italiano, non crederei fuor di proposito ch'egli acquistasse almeno tanto di facilità nello scrivere, che potesse in caso di necessità comunicar con decenza un avviso, un sentimento, un comando. Per renderlo senza molta pena abile a questo, approverei che, quando avesse già fatto acquisto d'un sufficiente capitale di parole e di frasi, incominciasse in presenza del maestro a comporre alcuna o lettera o descrizione o racconto. E per togliere tutta la noia al lavoro, vorrei che la voce viva del maestro medesimo gli servisse in questo caso di dizionario e di grammatica, e suggerendogli le parole e le frasi ch'ei non rinvenisse prontamente nella sua memoria, e dirigendolo nella scelta di quello, e regolandolo nell'ordine e nella progressione de' pensieri, e facendogli note le pochissime leggi alle quali è soggetta la facilissima ortografia italiana.

Questo metodo, secondato dal continuo esercizio nel quale potranno tenere il principe molti di quelli che sono eletti all'invidiabile onore d'essergli appresso, e più d'ogni altro i felici talenti de' quali la Provvidenza a nostro vantaggio gli ha fatto dono, crederei che in breve tempo e con leggiera fatica dovessero indubitatamente produrre l'effetto che si desidera. E s'io m'inganno nel mio ragionamento, gran parte della mia colpa ricadrà sull'Eccellenza Vostra che ha voluto obbligar un poeta a dover far da maestro. Io rifletterò per consolarmi che, quanto è minor il merito di questi miei pareri, tanto più grande è quello dell'ubbidienza mia, efficace a tal segno che ha potuto superare in me la natural gelosia del proprio credito. Io sono col dovuto rispetto.

 

 




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