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Pietro Metastasio Lettere IntraText CT - Lettura del testo |
XCV
AD ANGELO FABRONI - PISA
Vienna 29 ottobre 1763.
Una gentilissima di V. S. illustrissima e reverendissima in data del l6 dello scorso luglio mi fece sperare che poco tempo dopo di essa mi sarebbe giunta alle mani la prima decade delle Vite degl'illustri Italiani da lei scritte, da me impazientemente attese. Occupato allora nell'esercizio del mio impiego, mi credei permesso il differir la risposta alla obbligantissima lettera sino all'arrivo del dono: ma non essendo questo ancor pervenuto alle mie mani (per uno senza fallo di quegli innumerabili accidenti che sogliono turbare il corso di somiglianti spedizioni), non voglio che un mio più lungo silenzio ora che i miei inevitabili doveri non mi contendono l'ozio d'interromperlo, aggiunga, allo svantaggio che mi cagiona la fortuna, anche l'altro di comparir appresso di lei o sconoscente o trascurato. Sappia dunque, reverendissimo mio signor priore, che in leggendo le sue lettere io sento nell'animo tutti quei moti di gratitudine, di confusione, e d'affetto che ben è in dritto di esigere la dichiarata sua amichevole e gratuita parzialità da chi non ha né occasione né facoltà di meritarla; ma comunque mi venga così inestimabile acquisto, io ne sono e ne sarò sempre superbo e geloso: e quando in altra guisa io non possa, gliene renderò sempre col cuore il più candido, il più giusto ed il più tenero contraccambio. Ma perché mai, così disposta come ella si sente a favor mio, vuole amareggiarmene il contento rendendo pubbliche coteste mie fanfaluche scritte senza la minima riflessione e sotto la sicura fiducia che non vedrebbero mai la luce del giorno? Oh Dio! Ella misura quella del pubblico dalla sua propria indulgenza, e s'inganna: esso è giudice più che severo: e se facea tremare il padre dell'eloquenza romana (che non arrossisce di confessarlo) ancor quando gli compariva innanzi con merci sudate e pellegrine, con qual conscienza può chiamar ella eccesso di modestia la repugnanza ch'io provo di presentarmigli con quattro letterine familiari, scritte per lo più in fretta ad amici e confidenti senza neppure rileggerle? No, reverendissimo signor priore, io non ho questo coraggio, o per dir meglio questa arroganza: ed o sia ragione, come io credo, o difetto di temperamento, non ho più speranza d'acquistarla: sicché o approvi V. S. illustrissima e reverendissima le mie ragioni, o come parziale compatisca la mia debolezza: il condonarsi scambievolmente i piccioli difetti è uno de' più sacri doveri dell'amicizia. In virtù parimente di questi, de' quali io la credo rigido osservatore, si compiaccia, la supplico, degnissimo mio signor priore, di togliere la restrizione del per ora alla grazia che con tanta gentilezza mi ha fatto rinunciando all'obligante disegno di scrivere la mia vita. Il mondo letterario abbonda di soggetti ben più degni della sua penna: ed io nelle mie antecedenti le ho candidamente confessato come io senta raccapricciarmi alla sola idea di divenire usurpatore d'un incenso a me così poco dovuto. L'amore che bontà sua ella mi dimostra mi è sicuro mallevadore della sua amichevole condescendenza, ed io gliene conserverò fin che viva la più affettuosa e la più sicura riconoscenza.
Qualche persona del seguito della regina di Napoli le recherà i miei due ultimi componimenti. Non gli ho mandati per la posta, perché non ne meritavano l'enorme spesa. Si compiaccia di far presente il mio costante rispetto al nostro degnissimo signor conte di Rosenberg, e mi creda con ossequio, gratitudine e vera amicizia.