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Pietro Metastasio Lettere IntraText CT - Lettura del testo |
CXXX
AD AGOSTINO GERVASI - NAPOLI
Vienna 10 ottobre 1771.
Dicite, io Paean! Ecco finalmente una lettera del mio amatissimo e stimatissimo monsignor Gervasio. E come affettuosamente diffusa! e come analoga al candore del suo bell'animo! e quanto efficace ad appagare tutte le più minute sollecitudini d'un vero amico! Io vi son debitore d'una gran parte del vostro contento che avete saputo comunicarmi col ridente colorito di tutte le vostre espressioni. Io partecipo e godo in voi di cotesta comoda, lieta, opulenta e tranquilla segregazione dal nostro turbolento commercio, dove gl'ingegni più fervidi ed applauditi, professandosi protettori dell'oppressa (dicon essi) umana società, s'affaticano con ogni sforzo a distruggerne tutti i sacri e profani vincoli che la conservano. Non potete immaginarvi quanto dopo la vostra partenza siasi accresciuta la loro baldanza ed il numero insieme dei giovani proseliti dell'uno e dell'altro sesso. Sono così rapidi i progressi dell'empietà e della licenza, che a dispetto dell'età mia io temo di giungere ancora in tempo di essere spettatore del bellum omnium contra omnes dell'ardito filosofo inglese. Ma non è sano consiglio immergersi in queste nere meditazioni che sono forse in me sintomi servili.
Dopo molte Olimpiadi che ho già trascorse, non sarebbe strano che fossi anch'io divenuto, senza addarmene, difficilis, quaerulus, laudator temporis acti, me puero, censor, casticatorque, minor. Non fomentiamo adunque il difetto dei miei pari, e figuriamoci piuttosto un futuro meno funesto. Possano finalmente le nostre speranze aver fondamenti non irragionevoli; epidemie somiglianti a quella che deploriamo hanno altra volta regnato e sono altre volte svanite
Dovrei contraccambiare ora con l'esatta esposizione del mio presente stato quella che mi avete cortesemente fatta del vostro; ma conoscendo voi tutte le non cambiate circostanze della mia situazione e l'uniforme tenore della mia vita, che per costanza o per pigrizia io non ho punto alterato, poco mi resta che dirvi di me medesimo. La mia salute, se non è affatto quale io la vorrei, è per altro assai migliore di quello che avrei dritto oramai di pretenderla. Vivo al solito nel commercio civile quanto basta a non divenir misantropo e mi difendo dall'inclinazione che me ne sento ricorrendo ad litterulas in compagnia di un paio di savi amici a voi ben noti, che sono il conte di Canale ed il barone di Hagen, coi quali, meco perfettamente concordi di genio, di costumi e di opinioni, passo tranquillamente, rivolgendo le antiche carte, alcune ore d'ogni giorno, spesso con profitto e sempre senza rimorso.
A dispetto della giusta mia determinazione di lasciar finalmente in pace le Muse, l'adorabile mia sovrana mi ha nuovamente mandato in Parnaso a mettere insieme un nuovo dramma per festeggiare le nozze dell'augusto suo figlio, l'arciduca Ferdinando, e non è stata mai tanto meritoria la mia ubbidienza. Me ne ha largamente invero ricompensato l'onore che ella mi fa, e dandomi sempre pubbliche pruove del suo clementissimo gradimento colle imperiali sue munificenze. Ma non vorrei vedermi finalmente una volta costretto ad informar tutto il mondo con qualche mia debole produzione, ché il zelo di ubbidirla, che nel mio cuor sempre cresce, non basta a sostener le veci del vigor della mente, che sempre scema. Il titolo del nuovo dramma è il Ruggiero o vero L'eroica gratitudine, soggetto tratto dai tre ultimi libri del Furioso di Lodovico Ariosto, e non alieno delle nozze che si celebrano, poiché gli eroi del dramma sono dal mio autore annoverati fra gli avi illustri della sposa reale. S'io saprò insegnargliene la strada, verrà il mio Ruggiero (con grande invidia mia) a ritrovarvi, incaricato di alimentare nell'animo vostro (s'ei n'è capace) quell'affettuosa parzialità della quale gratuitamente mi onorate, e come sincero pegno della stima, della gratitudine, della tenerezza e del rispetto con cui sono e mai non lascierò d'essere.