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Pietro Metastasio
Lettere

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CXXXV

 

A TOMMASO FILIPPONI - TORINO

 

Vienna 5 ottobre 1772.

 

Mi solletica dolcemente la vostra affettuosa impazienza di più lungo silenzio, dilettissimo signor Filipponi: e vi so buon grado che abbiate scossa la scambievole pigrizia turbandole un possesso che incominciava a diventar prescrizione. È necessario il far motto di tratto in tratto agli amici, anche senza motivo che l'esiga: e non manca mai che dirsi fra loro alle persone che si amano. Vi ha detto il vero il gentilissimo monsieur Chantel intorno all'ingannatrice mia esterna apparenza. Rade volte il mio viso palesa quello ch'io soffro, e senza punto giovarmi mi defrauda del compatimento degli amici. Ma pure, tutto ben contato, s'io non istò così bene come vorrei, sto di gran lunga meglio di quello che dall'età mia sono autorizzato a pretendere, ed avrei scarsa ragion di lagnarmi. Rendiamo dunque grazie alla Provvidenza, e tiriamo innanzi come e sin ch'ella vuole.

Mi ha fatto rider di cuore la vostra esclamazione ammirativa: Ma, caro abate, è possibile che dopo il Ruggiero non abbiate dati alla luce altri parti del vostro ingegno? Ma quanto vorreste mai che durasse, caro amico, la mia fecondità? Non vi basta che abbia emulata quella di Sara? Se fra' miei parti voi conterete gli aborti, troverete un numero di gravidanze che giustifica la mia avversione d'ingravidar di bel nuovo. E perché vorreste voi ch'io ingravidassi? per far cosa grata a cotesto stampatore. Oh! che Dio vel perdoni. Parvi per avventura che l'eleganza della torinese impressione del decimo tomo degli scritti miei sia atta a grattar l'ambizioso prurito d'un povero autore? Aggiungete a questo ch'io sono infastidito dalle Muse a segno, che per far loro dispetto ho scritto ultimamente un libro in prosa, ed un libro che le tormenta. Questo è l'Estratto della Poetica d'Aristotile, da molti anni da me meditato, ma non mai per le assidue mie inevitabili occupazioni eseguito. Ho detto in esso, a seconda delle occasioni, i miei pareri sopra vari punti drammatici, combinando gli esempi de' tragici greci con le regole d'Aristotile, con quelle de' dotti ma inesperti moderni critici, e con quei lumi che la pratica di più di mezzo secolo ha pur dovuto somministrarmi a dispetto de' miei corti talenti. Lavoro che ha servito ad occuparmi lungamente senza far versi, ed a mettere in uso una quantità di memorie e di osservazioni in piccioli fogli da me in tanti anni notate, che imbarazzavano il mio scrigno senza rendermi il minimo utile servigio. Quest'opera farà ottima compagnia alla versione della Poetica d'Orazio da me scritta in versi gran tempo fa; e l'uno e l'altra contenti d'aver servito intanto a giustificare me con me stesso, non saranno certamente impazienti di sottoporsi al giudizio del pubblico.

Addio. Il signor conte di Canale ha sommamente gradita la vostra memoria e cordialmente vi saluta. Io mi congratulo con esso voi dell'invidiabile vicinanza della signora Guadagni Alessandri, e vi prego di contraccambiar seco i gentili di lei complimenti coi miei. Riverisco la venerabile sacerdotessa e tutte le vostre sacre e profane appendici, e sono con l'antica tenerezza.

 

 




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