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Pietro Metastasio Olimpiade IntraText CT - Lettura del testo |
Vasta campagna alle falde d'un monte, sparsa di capanne pastorali. Ponte rustico sul fiume Alfeo, composto di tronchi d'alberi rozzamente commessi. Veduta della città d'Olimpia in lontano, interrotta da poche piante, che adornano la pianura, ma non l'ingombrano.
CORO Oh care selve, oh cara
felice libertà!
ARG. Qui se un piacer si gode,
parte non v'ha la frode
ma lo condisce a gara
amore e fedeltà.
CORO Oh care selve, oh cara
felice libertà!
ARG. Qui poco ognun possiede,
e ricco ognun si crede:
né, più bramando, impara
che cosa è povertà.
CORO Oh care selve, oh cara
felice libertà!
ARG. Senza custodi o mura
la pace è qui sicura,
che l'altrui voglia avara
onde allettar non ha.
CORO Oh care selve, oh cara
felice libertà!
ARG. Qui gl'innocenti amori
di ninfe... Ecco Aristea.
ARI. Siegui, o Licori.
ARG. Già il rozzo mio soggiorno
torni a render felice, o principessa?
ARI. Ah fuggir da me stessa
potessi ancor, come dagli altri! Amica
tu non sai qual funesto
giorno per me sia questo.
ARG. È questo un giorno
glorioso per te. Di tua bellezza
qual può l'età futura
prova aver più sicura? A conquistarti
nell'olimpico agone
tutto il fior della Grecia oggi s'espone.
ARI. Ma chi bramo non v'è. Deh si proponga
men funesta materia
al nostro ragionar. Siedi, Licori:
gl'interrotti lavori
riprendi, e parla. Incominciasti un giorno
a narrarmi i tuoi casi. Il tempo è questo
di proseguirli. Il mio dolor seduci;
raddolcisci, se puoi,
i miei tormenti in rammentando i tuoi.
ARG. Se avran tanta virtù, senza mercede
non va la mia costanza. A te già dissi
che Argene è il nome mio; che in Creta io nacqui
d'illustre sangue, e che gli affetti miei
fur più nobili ancor de' miei natali.
ARI. So fin qui.
ARG. De' miei mali
ecco il principio. Del cretense soglio
Licida il regio erede
fu la mia fiamma, ed io la sua. Celammo
prudenti un tempo il nostro amor; ma poi
l'amor s'accrebbe, e, come in tutti avviene,
la prudenza scemò. Comprese alcuno
il favellar de' nostri sguardi: ad altri
i sensi ne spiegò. Di voce in voce
tanto in breve si stese
il maligno romor, che 'l re l'intese:
se ne sdegnò, sgridonne il figlio; a lui
vietò di più vedermi, e col divieto
glien'accrebbe il desio; che aggiunge il vento
fiamme alle fiamme, e più superbo un fiume
fanno gli argini opposti. Ebro d'amore
freme Licida, e pensa
di rapirmi e fuggir. Tutto il disegno
spiega in un foglio: a me l'invia. Tradisce
la fede il messo, e al re lo reca. È chiuso
in custodito albergo
il mio povero amante. A me s'impone
che a straniero consorte
porga la destra. Io lo ricuso. Ognuno
contro me si dichiara. Il re minaccia:
mi condannan gli amici: il padre mio
vuol che al nodo acconsenta. Altro riparo
che la fuga o la morte
al mio caso non trovo. Il men funesto
credo il più saggio, e l'eseguisco. Ignota
in Elide pervenni. In queste selve
mi proposi abitar. Qui fra pastori
pastorella mi finsi, e or son Licori:
ma serbo al caro bene
fido in sen di Licori il cor d'Argene.
ARI. In ver mi fai pietà. Ma la tua fuga
non approvo però. Donzella e sola
cercar contrade ignote,
abbandonar...
ARG. Dunque dovea la mano
a Megacle donar?
ARI. Megacle? (Oh nome!)
Di qual Megacle parli?
ARG. Era lo sposo
questi, che il re mi destinò. Dovea
dunque obbliar...
ARI. Ne sai la patria?
ARG. Atene.
ARI. Come in Creta pervenne?
ARG. Amor vel trasse,
com'ei stesso dicea, ramingo, afflitto.
Nel giungervi fu colto
da stuol di masnadieri; e oppresso ormai
la vita vi perdea. Licida a sorte
vi si avvenne, e il salvò. Quindi fra loro
fidi amici fur sempre. Amico al figlio,
fu noto al padre; e dal reale impero
destinato mi fu, perché straniero.
ARI. Ma ti ricordi ancora
le sue sembianze?
ARG. Io l'ho presente. Avea
bionde le chiome, oscuro il ciglio, i labbri
vermigli sì, ma tumidetti, e forse
oltre il dover; gli sguardi
lenti e pietosi: un arrossir frequente,
un soave parlar... Ma... principessa,
tu cambi di color! Che avvenne?
ARI. Oh Dio!
Quel Megacle, che pingi, è l'idol mio.
ARG. Che dici!
ARI. Il vero. A lui,
lunga stagion già mio segreto amante,
perché nato in Atene,
negommi il padre mio, né volle mai
conoscerlo, vederlo,
ascoltarlo una volta. Ei disperato
da me partì; più nol rividi: e in questo
punto da te so de' suoi casi il resto.
ARG. In ver sembrano i nostri
favolosi accidenti.
ARI. Ah s'ei sapesse
ch'oggi per me qui si combatte!
ARG. In Creta
a lui voli un tuo servo; e tu procura
la pugna differir.
ARI. Come?
ARG. Clistene
è pur tuo padre: ei qui presiede eletto
arbitro delle cose; ei può, se vuole...
ARI. Ma non vorrà.
ARG. Che nuoce,
principessa, il tentarlo?
ARI. E ben, Clistene
vadasi a ritrovar.
ARG. Fermati: ei viene.