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Pietro Metastasio Olimpiade IntraText CT - Lettura del testo |
MEG. (Oh ricordi crudeli!)
ARI. Al fin siam soli:
potrò senza ritegni
il mio contento esagerar; chiamarti
mia speme, mio diletto,
luce degli occhi miei...
MEG. No, principessa,
questi soavi nomi
non son per me. Serbali pure ad altro
più fortunato amante.
ARI. E il tempo è questo
di parlarmi così? Giunto è quel giorno...
Ma semplice ch'io son: tu scherzi, o caro,
ed io stolta m'affanno.
MEG. Ah! non t'affanni
senza ragion.
ARI. Spiegati dunque.
MEG. Ascolta:
ma coraggio, Aristea. L'alma prepara
a dar di tua virtù la prova estrema.
ARI. Parla. Aimè! che vuoi dirmi? Il cor mi trema.
MEG. Odi. In me non dicesti
mille volte d'amar, più che 'l sembiante,
il grato cor, l'alma sincera, e quella,
che m'ardea nel pensier, fiamma d'onore?
ARI. Lo dissi, è ver. Tal mi sembrasti, e tale
ti conosco, t'adoro.
MEG. E se diverso
fosse Megacle un dì da quel che dici;
se infedele agli amici,
se spergiuro agli dei, se, fatto ingrato
al suo benefattor, morte rendesse
per la vita che n'ebbe; avresti ancora
amor per lui? Lo soffriresti amante?
L'accetteresti sposo?
ARI. E come vuoi
ch'io figurar mi possa
Megacle mio sì scellerato?
MEG. Or sappi
che per legge fatale,
se tuo sposo divien, Megacle è tale.
ARI. Come!
MEG. Tutto l'arcano
ecco ti svelo. Il principe di Creta
langue per te d'amor. Pietà mi chiede,
e la vita mi diede. Ah principessa,
se negarla poss'io, dillo tu stessa.
ARI. E pugnasti...
MEG. Per lui.
ARI. Perder mi vuoi...
MEG. Sì, per serbarmi sempre
degno di te.
ARI. Dunque io dovrò...
MEG. Tu dèi
coronar l'opra mia. Sì, generosa,
adorata Aristea, seconda i moti
d'un grato cor. Sia, qual io fui fin ora,
Licida in avvenire. Amalo. È degno
di sì gran sorte il caro amico. Anch'io
vivo di lui nel seno;
e s'ei t'acquista, io non ti perdo appieno.
ARI. Ah qual passaggio è questo! Io dalle stelle
precipito agli abissi. Eh no: si cerchi
miglior compenso. Ah! senza te la vita
per me vita non è.
MEG. Bella Aristea,
non congiurar tu ancora
contro la mia virtù. Mi costa assai
il prepararmi a sì gran passo. Un solo
di quei teneri sensi
quant'opera distrugge!
ARI. E di lasciarmi...
MEG. Ho risoluto.
ARI. Hai risoluto? E quando?
MEG. Questo (morir mi sento)
questo è l'ultimo addio.
ARI. L'ultimo! Ingrato...
Soccorretemi, o numi! Il piè vacilla:
freddo sudor mi bagna il volto; e parmi
ch'una gelida man m'opprima il core!
MEG. Sento che il mio valore
mancando va. Più che a partir dimoro,
meno ne son capace.
Ardir. Vado, Aristea: rimanti in pace.
ARI. Come! Già m'abbandoni?
MEG. È forza, o cara,
separarsi una volta.
ARI. E parti...
MEG. E parto
per non tornar più mai.
ARI. Senti. Ah no... Dove vai?
MEG. A spirar, mio tesoro,
lungi dagli occhi tuoi.
ARI. Soccorso... Io... moro.
MEG. Misero me, che veggo!
Ah l'oppresse il dolor! Cara mia speme,
bella Aristea, non avvilirti; ascolta:
Megacle è qui. Non partirò. Sarai...
Che parlo? Ella non m'ode. Avete, o stelle,
più sventure per me? No, questa sola
mi restava a provar. Chi mi consiglia?
Che risolvo? Che fo? Partir? Sarebbe
crudeltà, tirannia. Restar? che giova?
forse ad esserle sposo? E 'l re ingannato,
e l'amico tradito, e la mia fede,
e l'onor mio lo soffrirebbe? Almeno
partiam più tardi. Ah che sarem di nuovo
a quest'orrido passo! Ora è pietade
l'esser crudele. Addio, mia vita: addio,
mia perduta speranza. Il Ciel ti renda
più felice di me. Deh, conservate
questa bell'opra vostra, eterni dei;
e i dì, ch'io perderò, donate a lei.
Licida... Dov'è mai? Licida.