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Pietro Metastasio Olimpiade IntraText CT - Lettura del testo |
ARG. Fermati, o re. Fermate,
sacri ministri.
CLIST. Oh insano ardir! Non sai,
ninfa, qual opra turbi?
ARG. Anzi più grata
vengo a renderla a Giove. Una io vi reco
vittima volontaria ed innocente,
che ha valor, che ha desio
di morir per quel reo.
CLIST. Qual è?
ARG. Son io.
MEG. (Oh bella fede!)
LIC. (Oh mio rossor!)
CLIST. Dovresti
saper che al debil sesso
pel più forte morir non è permesso.
ARG. Ma il morir non si vieta
per lo sposo a una sposa. In questa guisa
so che al tessalo Admeto
serbò la vita Alceste; e so che poi
l'esempio suo divenne legge a noi.
CLIST. Che perciò? Sei tu forse
di Licida consorte?
ARG. Ei me ne diede
in pegno la sua destra e la sua fede.
CLIST. Licori, io, che t'ascolto,
son più folle di te. D'un regio erede
una vil pastorella
dunque...
ARG. Né vil son io,
né son Licori. Argene ho nome: in Creta
chiara è del sangue mio la gloria antica:
e, se giurommi fé, Licida il dica.
CLIST. Licida, parla.
LIC. (È l'esser menzognero
questa volta pietà). No, non è vero.
ARG. Come! E negar lo puoi? Volgiti, ingrato;
riconosci i tuoi doni,
se me non vuoi. L'aureo monile è questo,
che nel punto funesto
di giurarmi tua sposa
ebbi da te. Ti risovvenga almeno
che di tua man me ne adornasti il seno.
LIC. (Pur troppo è ver).
ARG. Guardalo, o re.
CLIST. Dinanzi
mi si tolga costei.
ARG. Popoli, amici,
sacri ministri, eterni dei, se pure
n'è alcun presente al sacrifizio ingiusto,
protesto innanzi a voi; giuro ch'io sono
sposa a Licida, e voglio
morir per lui: né... Principessa, ah! vieni;
soccorrimi: non vuole
udirmi il padre tuo.