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Pietro Metastasio
Romolo ed Ersilia

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SCENA QUARTA

 

Valeria, poi Acronte in abito romano.

 

VAL.

Arde, e nol sa, ma in nobil fuoco almeno,

La saggia Ersilia. Io sventurata adoro

Un perfido, un ingrato. A mille prove

So che m’inganna Acronte, e pure... Oh stelle!

Traveggo? Ei viene.

ACR.

(Infausto incontro!)

VAL.

E dove,

Folle, t’inoltri mai? Mentre congiura

All’eccidio di Roma

Tutto il nome sabin, sabino ardisci

Qui con mentite spoglie

Arrischiarti così?

ACR.

Rischio non temo,

Cara, per rivederti.

VAL.

Ah mentitor! so che la fé di sposo

Donata a me non curi più, che solo

D’Ersilia or ardi.

ACR.

Io!

VAL.

Sì. Credi che ignori

Le tue vane richieste,

I rifiuti del padre, i tuoi furori?

ACR.

Ingiusta sei. Ne chiamo

Tutti del cielo in testimonio...

VAL.

Ah! taci;

Io non voglio arrossir de’ tuoi spergiuri.

Va. Se di me non curi,

Abbi cura di te: se me disprezzi,

Gradisci il mio consiglio,

E non farmi tremar nel tuo periglio.

ACR.

Perché in rischio mi vedi,

Palpiti tanto, e un traditor mi credi?

 

VAL.

Sì, m’inganni, e pure, oh Dio!

La mia sorte è sì tiranna,

Che l’idea di chi m’inganna

Non so svellermi dal cor.

Sì, crudele, il caso mio

È una specie di portento;

Aborrisco il tradimento,

E pur amo il traditor. (parte)

 

 

 




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